Adriana Gagliardi*
Editoriale di Psicoterapia Psicoanalitica n. 1/2019 - "Generatività"
Qual è il rapporto tra generatività e creatività? Penso che la generatività (deriv. generativus dal tardo latino) sia un sostantivo che connota la preoccupazione di creare e dirigere una nuova generazione. Scrive Erikson: «L’uomo maturo ha bisogno che si abbia bisogno di lui e la maturità ha bisogno di essere guidata e incoraggiata da ciò che è stato prodotto e di cui bisogna prendersi cura».
Nel discutere di questo tema con la Redazione, si è notato che “generatività” reca in sé la radice “*gen” che abbiamo associato a “genius”, che gli antichi latini riferivano al nume tutelare del nuovo nato (che poi nei tempi tardi della cristianità diverrà l’anima e l’angelo custode) ovvero lo spirito vitale di ogni individuo, da cui deriveranno le parole genere e generare. E ancora abbiamo pensato al significato di “genesi”, l’origine, la nascita, la creazione (il Libro della Genesi, dall’ebraico: in principio, dall’incipit; dal greco: Ghenesis Γένεσις).
Penso che la generatività sia collegata al passaggio del tempo e delle generazioni, ma anche a ciò che ha una sua origine, e che contenga in sé la creatività, ovvero l’espressione unica e soggettiva che lascia quel segno profondamente vitale che non muore con l’individuo, ma tra- smette ad altre generazioni la traccia di un pensiero profondo e originale. Tale pensiero, dunque, è legato al soggetto nella sua individualità ma reca i segni di un’appartenenza anche storica. Esso sembra collocarsi ai margini di una apparente contraddizione: è profondamente legato a ciò che l’ha originato, eppure si configura come atemporale.
Così la psicoanalisi si trasforma e ci trasforma nel tempo che passa; e come ogni disciplina scientifica ricerca il senso, le mutazioni cliniche della contemporaneità, si avvale del pensiero di altre discipline, non è mai uguale a se stessa e crea-trova, trova-crea altri significati, altre espressioni, pur restando immutato il suo oggetto d’indagine dell’origine: l’Inconscio, per definizione inconoscibile, ma esistente e visibile attraverso i suoi derivati. Al paradosso dell’esistenza della materia oscura della fisica che attrae le particelle della materia, ma non ne fa parte ‒ mistero che impegna generazioni di fisici ‒ mi piace paragonare la ricerca sull’Inconscio di generazioni di psicoanalisti: trasmissioni generative di dati di ricerca clinica e di ipotesi teoriche esplicative per le nuove generazioni.
Ricerche da tutelare, che vedono creatività individuali, co-creazioni tra analista e paziente nel processo di cura e nella ricerca di verità soggettive, in un gioco infinito che, come ogni gioco che si rispetti ha, deve avere, delle regole rigorose per essere condiviso e trasmesso, ma anche il piacere di essere giocato.
Il trovato-creato di Winnicott ha, d’altra parte, un interessante collegamento alla ricerca dell’epistemologia della scienza: in La struttura delle rivoluzioni scientifiche Thomas Khun (1962) spiegava che esiste una scienza normale che prosegue con un paradigma di ricerca e che porta ad una scoperta di “anomalie”, ovvero la scoperta comincia con la presa di coscienza di un’anomalia, col riconoscimento che la natura ha in un certo modo violato le aspettative suscitate dal paradigma che regola la scienza normale. L’assimilazione di un nuovo genere di fatti richiede un adattamento, non semplicemente additivo, della teoria. Cosa voleva dire? Che la ricerca procede normalmente e la scoperta scientifica non è altro che una “ristrutturazione di campo” del già conosciuto.
La scoperta straordinaria di Freud scardinò un paradigma scientifico normale, perché egli guardò alla realtà dei fatti clinici attuando una “ristrutturazione di campo”, trovò-creò approfondendo la percezione di “anomalie” inspiegabili (derivati dell’Inconscio), che fino ad allora non erano state “viste” con i criteri clinici adottati dai suoi colleghi. Generò una nuova ipotesi che le generazioni seguenti hanno ulteriormente sviluppato. Il metodo psicoanalitico che Freud ci ha trasmesso è a tutt’oggi generativo e ci porta ad osservare nuove “anomalie” e a proporre nuove ipotesi sui processi mentali che osserviamo nei nostri pazienti.
Quest’anno è il venticinquesimo anno della nostra Rivista Psicoterapia Psicoanalitica. Negli anni abbiamo visto la cura dei nostri autori nell’esprimere pensieri generativi di altri pensieri, che a loro volta hanno proseguito e trasformato il pensiero dell’origine, fino ad oggi.
La nostra Società è nata in anni densi di fermenti sociali e scientifici; la nostra Rivista fu fondata nel 1993 per dar voce ai nostri Soci ma anche con un’apertura verso colleghi di altre Società psicoanalitiche e verso ricercatori di discipline al confine con la psicoanalisi. Seguendo il pensiero di Khun, possiamo dire che le “anomalie” rilevate dal gruppo di ricercatori che fondarono la SIPP erano nel metodo psicoanalitico, nella teoria della tecnica, riguardavano l’ortodossia del metodo, in particolare del setting, così come era stata formulata da Eitingon (1925). Questo metodo, applicato rigidamente, non andava incontro al bisogno di alcune categorie di pazienti e risultava non idoneo alla loro cura, e nemmeno era possibile adottarlo nelle Istituzioni pubbliche.
La nostra Società, alla fine degli anni ’70, inizi ’80, si trovò a formulare l’ipotesi secondo cui si può fare una buona analisi con un setting modulato, preservando il rigore del metodo freudiano. Queste osservazioni si sono rivelate negli anni successivi sempre più adeguate ai “nuovi pazienti” e alla loro realtà psichica, alle modifiche strutturali della società, alle quali abbiamo assistito e alle quali stiamo assistendo. Naturalmente è molto più difficile lavorare psicoanaliticamente con due sedute o una seduta per settimana; ciò richiede una formazione approfondita e un’analisi personale che possano favorire, in coloro che saranno le nuove generazioni di psicoanalisti, la creazione di un setting interno adeguato alle difficoltà di questi trattamenti.
Una messe di dati clinici e di riflessioni sulla teoria della tecnica ha avuto come tramite questa Rivista.
Questo numero si apre con un forum che accoglie gli interventi di alcuni Soci fondatori della SIPP. A loro abbiamo chiesto di esprimere il proprio vissuto degli anni della fondazione societaria e di raccontare come il gruppo da loro fondato sia stato creatore di pensiero personale e gruppale, poi trasmesso ai loro allievi e così passato alle nuove generazioni. Essere un gruppo portatore di innovazione, d’altra parte, avvia un processo di identificazione complesso che spesso genera, all’interno del gruppo stesso, rivalità e spinte anti-generative, legate talvolta a idealizzazioni che àncorano alle generazioni precedenti.
Il tema del numero è molto vasto e i contributi che sono giunti ne rivelano le tante sfaccettature, confermandone anche la complessità. Presenterò gli interessanti lavori che sono pervenuti alla Redazione, commentando gli articoli in base agli argomenti che li caratterizzano. Penso che si possa dire, in generale, che i lavori si sono focalizzati su due temi: uno legato alla generatività della psicoanalisi e a ciò che crea/genera il processo psicoanalitico; un secondo tema più legato al lavoro psicoanalitico in un campo specifico della generatività: quello legato al corpo che genera o non genera figli; il bisogno e/o il desiderio di essere madri e padri nella realtà; il confronto di questi aspetti con le nuove tecnologie, che da una parte aiutano a concretizzare un desiderio legittimo, dall’altra aprono interrogativi sulla non accettazione del limite fisico della sterilità, generando confusione tra bisogno e desiderio, tra fisico e psichico.
Di questa ricerca e di alcune riflessioni sull’argomento ha scritto Paola Marion, il Direttore della Rivista di Psicoanalisi, nella sezione “Lector in fabula”, ponendo attenzione particolare al tema della sessualità e alla divaricazione tra sessualità e procreazione, prodotta dal percorso di fecondazione assistita. Le biotecnologie alterano il versante fantasmatico e le vicende legate al desiderio e al piacere: si riflettono sul tema stesso dell’origine.
La sezione Saggi è inaugurata dal lavoro di Giovanni Starace sulla ritualità del setting, in cui si propone un collegamento fecondo tra psicoanalisi e antropologia. Gli aspetti rituali del setting, della cornice del processo analitico, sono percepiti come elementi costitutivi del pro- cesso e collegati ad alcune teorie antropologiche. Come in un’inversione figura-sfondo il rito e la sua ripetizione sono parte viva, generano elementi che fanno parte del processo stesso, sono visti come “atti di passaggio” sia all’interno dello spazio analitico sia fuori, nello spazio-tempo che precede e segue la seduta.
In questa stessa sezione, il lavoro di Antonella Convertini pone l’accento sul tema delle adozioni e sul percorso fantasmatico complesso e articolato che la coppia dei futuri genitori affronta perché l’adozione possa essere generativa. Il tema della filiazione adottiva viene considerato dal vertice del lavoro del lutto freudiano, implicando esso un doppio lutto che necessita di elaborazione: quello delle aspettative idealizzate dei genitori (bambino ideale) e quello dell’esame di realtà (bambino reale). Il materiale clinico ci illustra queste trasforma- zioni che avvengono in due coppie di genitori.
Il lavoro di Di Bella ci fa riflettere su ciò che le letture, in particolare la poesia, generano all’interno dell’analista: un arricchimento che nutre la sua rêverie, i suoi modi d’intendere le parole del paziente. Così la parola risuona e genera trasformazioni che nutrono il processo psicoanalitico.
Nella sezione Scorci, Lilly Collesi racconta i sogni di una paziente che strutturano e danno forma a vissuti remoti, accostando paziente e analista ad un trauma primario che evoca un clima denso di significazione. Le costruzioni di senso in analisi generano trasformazioni; nel controtransfert l’analista trova risposte alle domande suscitate in lei dalla lettura della “Paura del crollo” di Winnicott.
Silvia Grasso affronta il tema della generatività legandolo alla creatività dell’analista, intesa, come in Winnicott, come percorso per trovare se stessi. Tale capacità creativa, insieme alla sua capacità negativa, genera la possibilità di trasformazione; il lavoro di figurabilità dell’analista fa prendere forma al sogno del paziente del caso clinico riportato, un sogno che riporta alla luce tracce dell’area traumatica originaria.
Roberta Russo ci descrive il caso clinico di una paziente affetta da patologia borderline, che nel momento in cui decide di avere un figlio e non ci riesce, precipita in un pensiero concreto, confondendo la sua sterilità fisica con la sterilità della mente, l’impossibilità a essere sog- getto con un futuro, che genera pensieri. L’autrice descrive il difficile approdo alla soggettivazione della sua paziente, attraverso una lunga e difficile psicoterapia psicoanalitica che si rivela generatrice e matrice di senso.
Riccardo Morelli De Rossi dà una testimonianza di come un setting interno psicoanalitico possa aprire a nuovi significati individuali e gruppali, anche se colui che partecipa e percepisce queste realtà non è nel ruolo del terapeuta psicoanalitico e il contesto è di tipo educativo. La capacità negativa e l’ascolto particolare che derivano dalla forma- zione psicoanalitica, riuscirà a trasformare una realtà inedita, favorendo e generando un dialogo aperto tra genitori e figli disabili sul tema della sessualità.
La sezione Istituzioni accoglie l’intervento di Marina Nardo. L’autrice va alle radici del pensiero freudiano rivisitando alcuni suoi scritti alle origini della teoria psicoanalitica; la narrazione è densa di riflessioni che parlano della generatività del pensiero psicoanalitico nelle sue molteplici interpretazioni e nuove formulazioni teoriche fino ai nostri giorni, attraverso la trasmissione creativa di un metodo di ricerca presente fin dalle origini, scevro da certezze, come ogni pensiero scientifico aperto al dubbio. Alle generazioni di allievi si trasmette così un pensiero scientifico sempre vivo e curioso, stimolando la passione nella ricerca clinica e teorica, senza idealizzazioni, ma con l’umiltà del ricercatore, secondo un metodo d’insegnamento che sarebbe piaciuto a Freud.
In Intersezioni, Filippo Sciacca presenta un lavoro che fa riflettere sulla generatività, analizzando il significato della meravigliosa anfora di Exekias, di età arcaica: i due eroi omerici, Achille e Aiace, sono intenti a giocare con dadi e pedine, forse per scongiurare il rischio della stagnazione che è il contrario della generatività. Sono riportate altre raffigurazioni che dimostrano l’esistenza dell’afanisi, la sparizione del soggetto, e la liberazione da corazze sociali in un tempo altro, dominato dall’emozione del gioco e dal caso. Quello che accade nella creazione e nella fruizione artistica, ma anche nell’ascolto analitico che stimola la generatività psichica del paziente.
Buona lettura.
*Direttrice Rivista Psicoterapia Psicoanalitica
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