Luigi Scoppola. Emozione, inconscio, pensiero: empatia in psicoterapia psicoanalitica

1.
Desidero parlare dell’esperienza emozionale cui si va incontro nel corso del proprio lavoro analitico. Con ciò promuovere un’apertura a un affollato repertorio di riflessioni verso le quali non siamo talvolta sempre e pienamente disponibili ad accettarne la presenza e a condividerle nel nostro mondo interno.
Allo stesso tempo la prospettiva centrale di tale incontro è rivolta alla natura dei processi mentali, che tra loro sono intimamente legati e vengono espressi attraverso una comunicazione che risulta fondata sull’interazione dei processi sia consci che inconsci che sono presenti e attivi nella mente di ogni essere umano.
I contributi culturali provenienti dalla letteratura, dall’arte e dalle scienze umane in generale hanno sempre sottolineato nel corso dei secoli e nella storia dell’umanità la corrispondenza biunivoca tra un mondo interno, presente e sempre attivo nella mente di ciascuno di noi e la componente inconscia dell’esperienza che l’individuo avverte nella partecipazione all’ambiente nel quale siamo immersi. In tali circostanze quali ad esempio la presenza della variegata fenomenologia, che è propria della natura, i colori del cielo, il tramonto, l’andirivieni delle onde del mare, le figure del cielo, le luci del paesaggio, il di- segno e il colore della vegetazione, le immagine della notte e così molte altre figure, sembrano integrarsi con un sentire segreto di un mondo inconscio che tende ad annunciarsi: il mondo immaginario sembra nutrirsi di tali esperienze che vanno a confluire nei livelli più profondi della mente sottostanti alla coscienza, lì dove regnano le leggi dell’inconscio non rimosso.

La ricerca psicoanalitica, annunciata e iniziata da Freud, ha origine proprio dalla scoperta dell’esistenza di un mondo inconscio fondato su una propria specifica logica che è presente in ogni essere umano fin dalle prime origini dell’individuo e della storia dell’umanità. L’istintualità si nutre di emozioni. Il bisogno e il desiderio altrettanto, così pure la fantasia, l’immaginario, la creatività, l’arte, la socialità, la relazione di coppia e molte forme della vita psichica e sociale di ogni individuo.
La psicoanalisi di Freud (1895) qui prende origine. Si afferma e si espande nella sua progressiva e geniale osservazione clinica che ha la necessità di proporsi integrata in un progetto di ricerca fondato anche sulle acquisizioni scientifiche, a quell’epoca disponibili. Di conseguenza, appare sempre più necessario considerare l’individuo nella propria unicità strutturale fatta di sistemi tra loro apparentemente diversi che si cerca di poterli confrontare in una reciproca relazione, che pur nella diversità, ne riconosca l’appartenenza a modelli uguali ma paralleli (modelli paralleli di Freud). Il gruppo confonde, riunisce e divide per conoscere.
Lo sviluppo dei modelli teorici da lui proposti dà luogo, conseguentemente, all’applicazione dei fondamenti della psicoanalisi, ai vari quadri di psicopatologia. Il procedere dell’indagine psicoanalitica e il confronto con il mondo dell’empatia dimostrerà la presenza costante di questa in tutte le fasi del corso della vita ponendosi al centro di tutte le vicissitudini dell’esperienza clinica. Questa, come tale, mentre da un lato si misurerà con i contenuti profondi, dall’altro troverà verifiche attraverso gli input che riceverà dalla relazione che è presente nel corso del rapporto con il mondo esterno.
Inoltre, a seguito dello sviluppo delle applicazioni cliniche della teoria psicoanalitica, sarà possibile per lo psicoterapeuta sviluppare un confronto personale costruttivo con il nucleo più profondo del proprio conflitto empatico, che molto spesso lo individuiamo all’origine delle nostre difficoltà incontrate nel lavoro psicoterapeutico. È infatti talvolta condivisa una personale resistenza a una conoscenza più approfondita del proprio mondo interno. Da ciò nasce l’esigenza inderogabile di una consolidata esperienza psicoanalitica personale attraverso un training formativo mirato in tale direzione.

Confrontandoci con la storia della vita familiare e sociale dei tempi passati, ci rendiamo conto che a quell’epoca parlare della storia degli affetti e dei relativi eventi trascorsi rimanesse gelosamente riservato all’intimità della coppia, ma non sempre. Questa intimità infatti restava rimossa nel segreto timore di ricevere un severo giudizio superegoico che implicasse valutazioni negative e condanne morali. Imperava il giudizio sociale che, però, non doveva intaccare la stima e l’identità.
Charcot e soprattutto Freud, per primi, aprono la strada alla rivelazione di un mondo interno simbolizzabile o agibile nella necessità e nel tentativo vitale delle pazienti di poter raggiungere la capacità di una comunicazione con l’altro. Tale comunicazione sarà, nei. casi più frequenti, l’annuncio di una richiesta di condivisione e di aiuto (Shorter, 1993).
Il dolore e la sofferenza, espressioni di un mondo emozionale strutturato, hanno infatti la necessità di utilizzare i propri codici comunicativi che vanno spesso al di là di un condiviso linguaggio verbale. Le pazienti della Salpêtrière di Parigi erano infatti nella necessità di scoprire nuovi codici linguistici, che fossero in grado di produrre l’ascolto e la disponibilità degli operatori a lasciarsi raggiungere da un contenuto condivisibile e talvolta anche seduttivo. Questo, di per se stesso, esprimeva la dolorosa e disperata tensione interna, legata alla ricerca di parole non trovate (Scoppola 2005) come possibile veicolo di intensi contenuti emotivi altrimenti non esprimibili. Vedasi la dinamica della prima intervista e l’uso del linguaggio più consono all’obbiettivo della possibilità di raggiungere il livello della comunicazione.
In realtà possiamo riconoscere che ogni comunicazione che accade nel mondo sociale, e in particolare nel corso di una psicoterapia psicoanalitica, è carica di contenuti emotivi. Ne consegue che ciascuno di noi, nel corso del lavoro terapeutico, si senta chiamato a condividere codici verbali e pre-verbali che ci fa rendere conto essere essenziali nel corso della relazione transferale. Non soltanto, ma anche nella reciprocità contro-transferale. Molte volte accade che l’avvio di un lavoro terapeutico sia stentato e incerto. Penso che nella maggioranza dei casi ciò sia ascrivibile ad una mancata condivisione di un codice adeguato all’ hic et nunc di quel particolare momento della seduta.

Vorrei proporre uno sguardo sul misterioso mondo delle emozioni che oggi sono divenute oggetto di continue e approfondite ricerche anche nel campo delle neuroscienze.
Qual è la specifica struttura dell’evento emozionale e qual è il codice appropriato di lettura? Penso che una prima risposta possibile consista nel tentativo, alla luce delle più recenti sviluppi della teoria psicoanalitica, di approfondire le nostra conoscenze sulla natura della emozione
Ricordo a tal proposito il congresso a St. Vincent su Gli affetti nella psicoanalisi organizzato dalla SPI nel 1990, a cura di Hautmann e Vergine, che testimonia l’attenzione già esistente della psicoanalisi su tale argomento, centrata però sugli «affetti» che esprimono la struttura risultante dalla interazione di molteplici esperienze emozionali. Oggi ci si domanda quale sia una visione unitaria più intima su la natura di un evento di per sé emozionale che è l’elemento di base, di per sé, di qualunque vicissitudine personale e di qualunque affetto.
Propongo di prendere in considerazione per prima cosa gli aspetti senso-percettivi corporei, propri e specifici di ogni evento emozionale, per considerare poi come sia possibile considerare le modalità con le quali si integrano e si coniugano tra loro, seguendo modelli che divengono sempre più complessi via via che la ricerca neuro scientifica avanza e si confronta, inevitabilmente, da un lato, con le teorie di una complessità crescente e, dall’altro, con le attuali - ma non nuove - prospettive della ricerca psicoanalitica quali la natura delle emozioni. La prospettiva attuale è rivolta alla ricerca di una possibile integrazione tra elementi di natura che tra loro sono diversi (solo apparentemente?).

Se tale quesito può apparire come una provocazione filosofica e scientifica, ritengo piuttosto che sia l’espressione del desiderio e dell’urgenza di dare risposte valide e possibilmente non confutabili di fronte alla tendenza condivisa dalla pubblica opinione di avere risposte immediate; queste sono spesso inadeguate proprio per il carattere di urgenza, non possono non essere superficiali e fonte di comunicazioni certamente evasive del problema di fondo che è appunto quello di ridimensionare il dubbio che anima la ricerca scientifica.
Nel giugno del 2012 ho partecipato a Perugia ad un convegno sulla Necessità e limiti dell’incontro nel corso del quale è stato ripetutamente trattato il tema dell’empatia nei di- versi quadri della psicopatologia e in particolare sul tema del Sé corporeo e della psicosi (Bolognini 2002, Rizzolatti – Sinigallia 2006). Anche da questi contributi emergeva, come era infatti prevedibile, l’intreccio inestricabile tra lo psichico e il somatico, puntualmente presente e determinante in tutti i principali quadri psicopatologici. In realtà nei decenni passati la psicoanalisi ufficiale ha sempre alimentato uno stretto riserbo sulle vie da percorrere per fornire risposte al dialogo possibile tra neuroscienze e la stessa psicoanalisi.
Nel corso del mese corrente ho partecipato al IV Incontro nazionale del Brain Forum di Milano (marzo 2014) portando un contributo sulla costituzione dell’identità. Ci si ritrova sempre più convinti che la ricerca neuro scientifica avanzi più di quanto si creda e che lo studio della struttura, sia sotto l’aspetto biologico sia molecolare, ponga in evidenzia un legame sempre più stretto tra la componente biologica e quella psichica. Tutto ciò propone seri problemi anche dal punto di vista sia psicologico sia filosofico.

2.
Si ritiene oggi che la psicopatologia del Sé sia centrata sul tema dell’empatia in quanto fondamento del legame del Sé con l’Io, così pure per le identificazioni proiettive introiettive, e l’attaccamento precoce del bambino. Non da meno il precoce legame madre-bambino e tutto il tema della nutrizione e dei primi passi dell’ordinamento mentale, i vari quadri della psicopatologia, le fantasie e i fantasmi psicotici, la creatività e le separazioni, i legami sociali e di lavoro, l’apprendimento, l’arte, le dinamiche sociali e politiche, le guerre, le malattie organiche sono tutti temi, insieme a tanti altri, che sono dominati da contenuti emozionali, di ogni specifica organizzazione della mente.
Freud avrebbe avuto l’occasione di citare molte volte nei suoi scritti il termine empatia ma in realtà questo fu tradotto dalla lingua tedesca a quella inglese solo «tre (volte) delle dodici ricorrenze di Einfuhlung come empatia» (Bolognini 2002). Il termine viene tradotto in italiano come «immedesimazione». Inoltre, da alcuni si ritiene che «Strachey nella traduzione dovesse avere qualche ragione fondamentale per evitare la parola empatia (Pigman 1995)». Certamente Freud consigliava di non iniziare il trattamento analitico con l’interpretare, ma di muoversi con prudenza verso l’immedesimazione con il proprio paziente, poiché tale condizione potrebbe compromettere la neutralità del setting. In realtà fin dall’ inizio la relazione empatica fu vista con qualche attenzione particolare. Quasi col timore che potesse essere pericolosa per la relazione analista-paziente soprattutto nei primi periodi del trattamento. Tuttavia l’empatia si dimostrava una condizione sine qua non per l’instaurazione del transfert (Freud 1905), anche se Freud nel rapporto con Ferenczi si preoccupava che il modello di «tatto-empatia» potesse dar luogo a scelte arbitra- rie su quale modalità tecnica adottare
Pigman ritiene che per Freud il concetto di emozione (nel termine originale tedesco di Einfuhlung) possa essere trattato con ambivalenza in considerazione di una certa diffidenza e pericolosità derivante dalle reazioni emotive che gli analisti potessero mettere in atto nei confronti dei propri pazienti. Come peraltro è accaduto nel tempo – si veda il caso della relazione amorosa di Jung con la Spilreiner - dando luogo a movimenti analitici non privi di ambiguità e di ripetuti acting-out certamente dannosi, e talvolta distruttivi, per la gestione della relazione terapeutica di transfert e di controtransfert. Il pericolo è dunque la perdita del controllo della empatia, ma all’opposto e nello stesso tempo, il rischio di incorrere nell’esagerato irrigidimento della relazione stessa a tal punto da impedire l’accesso ai livelli sottostanti propri della struttura della mente nella opposta tendenza a rendere ripetitiva e, difensivamente, ossessiva la modalità di condurre la relazione terapeutica.
L’utilizzazione dello strumento empatico consentirebbe, infatti, di comprendere quella parte della persona che è ignara a se stesso ma che dà segni di sé nella ricorrenza occa-sionale di memorie di antiche esperienze patite in epoche molto precoci della vita psichica.

In questi ultimi cinquanta anni molti cambiamenti sono sopraggiunti con lo sviluppo dell’attenzione verso una più estesa area di applicazione del metodo psicoanalitico, verso l’area della psicosi, del disturbo bordeline di personalità e di personalità multipla, delle sofferenze somatopsichiche che hanno indotto un progressivo avvicinamento ai processi mentali precoci e allo studio delle dinamiche di gruppo (Gaddini 1989). Tutti campi di lavoro che hanno dato luogo alla comparsa di nuovi e ampi orizzonti della tecnica e della riflessione teorica senza intaccare i fondamentali concetti della teoria psicoanalitica. Tale estensione di campo che comprende anche tutta la problematica della sofferta relazione corpo-mente è propria della psicoterapia psicoanalitica.
Si può pertanto fare riferimento a una più attenta considerazione delle dinamiche inconsce proprie della relazione empatica che raggiunge e coinvolge i due diversi mondi inconsci che mettono a confronto quello del paziente con quello del suo analista.
Nel 1928 Ferenczi, il più vivace e affettivo discepolo di Freud sosterrà che l’empatia è la capacità di mettersi nei panni di un altro (immedesimarsi), condizione indispensabile per costruire la relazione terapeutica tra i due protagonisti del setting (Bolognini 2002). Da questa affermazione nasce un necessario corollario qual è quello della formazione psicoanalitica del terapeuta. Cioè la capacità raggiunta dal terapeuta in formazione di potersi muovere sul doppio registro della verticalità e della orizzontalità della mente utilizzando la tridimensionalità del mondo inconscio inteso come spazio definito, e allo stesso tempo, indefinibile a seconda dei livelli di immersione richiesta e condivisa dal paziente; o più ampiamente potrebbe considerarsi la condivisione della caratteristica multidimensionale e multi stratificata del mondo inconscio (Matte Blanco 1975, Margherita 1997).

Certamente il lavoro terapeutico comporta un coinvolgimento profondo della mente dell’analista; ne consegue la necessità di una adeguata agilità nel muoversi sulla verticale del mondo degli affetti, resi pertanto riconoscibili nei loro aspetti antinomici (opposti nel segno). Questi ultimi - del paziente - non possono non confrontarsi con quelli del terapeuta, mentre quest’ultimo è chiamato a mantenersi attento e a non confondersi, ma simultaneamente, a distinguersi nel hic et nunc del momento terapeutico; allo stesso tempo il paziente avverte inconsciamente che può lasciarsi andare nella regressione che sta sopraggiungendo. Tutto ciò è chiaramente legato alla necessità che la maturazione raggiunta dal terapeuta sia tale da consentirgli di simmetrizzarsi con il paziente e allo stesso tempo ritrovarsi pienamente consapevole del proprio coinvolgimento controtransferale e di intervenire quando opportuno per fornire l’esperienza del proprio ruolo nei movimenti di handling e di holding. Essere ciò simultaneamente simmetrico e asimmetrico in questa contemporaneità di insight.
Nella seconda metà degli anni cinquanta il tema dell’empatia viene più estesamente condiviso sia nel mondo della psicoanalisi sia nel contesto socioculturale. I contributi di Winnicott sul rapporto madre-bambino e sullo sviluppo emozionale di questo ultimo aprono la via all’osservazione clinica della vita del neonato e degli albori della mente all’interno della relazione empatica che si sviluppa parallelamente legata alla crescita somatica. Lo Psiche soma, L’ aggressività e lo sviluppo emozionale, Oggetti transizionali e fenomeni transizionali, Appetito e sviluppo emozionale, I bambini e le loro madri, sono solo alcuni dei suoi numerosi contributi che con gli altri hanno dato luogo a un nuovo percorso di indagine che prende in considerazione la tecnica del bambino osservato e la ricerca sul tema dell’attaccamento che trova in Bowlby l’inizio di un fondamentale filone di ricerca.
Renata Gaddini perseguendo e proseguendo la strada tracciata da Winnicott affronta il tema del funzionamento precoce della mente e della nascita dei primi affetti e apre in Ita- lia alla ricerca sulle primissime fasi della relazione corpo-mente attraverso lo studio delle imitazioni primitive legate alla soddisfazione dei bisogni di accudimento materno e di ri- fornimento affettivo nel neonato.

3.
Sarà ora opportuno cercare di definire alcuni termini che vengono abitualmente usati nel trattare il problema degli stati affettivi.
Il termine emozione resta distinto dal termine empatia, e viene definito «stato complesso dell’organismo caratterizzato dalla concomitanza di eventi di ordine psicologico e di ordine fisiologico che vengono sperimentati nella loro globalità attraverso la pressoché infinita gamma di significati affettivi che colora la vita quotidiana» (Amerio 2007); altra definizione di emozione: “Impressione o sentimento vivo e intenso di paura, gioia, ira, e sim., sovente accompagnato da attività motoria, ghiandolare e di malessere fisico» (Dardi 2013). Si può anche ritenere che si tratti di un evento somatopsichico, visto prioritariamente sotto l’aspetto di evento interno alla persona e che il termine non sottolinei la primarietà di quello dinamico visto in termini di azione intersoggettiva. L’aspetto somatopsichico assumerebbe, in termini psicologici, la caratteristica di essere dotato di non definibilità spazio-temporale con tendenza alla infinitizzazione (Matte Blanco 1985, Grotstein 2000) della esperienza, e pertanto assumerebbe la caratteristica di un rimando ai modelli dell’inconscio non rimosso e simmetrico.

Inconscio non rimosso e memorie implicite sono caratteristiche fondamentali della esperienza emozionale che è aliena dalla logica dividente o classica (validata dal rispetto del nesso di causalità e del principio di non contraddizione). L’esperienza emozionale, inoltre, risponde alla presenza del principio di generalizzazione che disperde l’evento nella classe di appartenenza rendendolo scambiabile e simmetrico con tutti gli altri appartenenti a quella medesima classe. Cioè non individuabile nella sua unicità spazio- temporale, ma identico all’intera classe. L’emozione può essere considerata, pertanto, identificabile con la struttura dell’inconscio freudiano non rimosso e, in quanto tale, considerata quindi «madre del pensiero» (Matte Blanco 1975) per abbracciare una potenzialità senza limite che può raggiunge la capacità di costruire e strutturare anche un pensiero rigorosamente definito.
Empatia sembra opportuno distinguerla dalla considerazione fatta sul termine emozione anche se la base costitutiva sia comune in quanto fa riferimento a un contenuto emozionale di base. Potrebbe essere considerata come una emozione che l’Io utilizza per mettersi in rapporto con il Sé e con l’oggetto e, in qualche modo, col mondo verso il quale esiste una propensione a muoversi e col quale congiungersi. È un fenomeno, dunque, per il quale il soggetto tende a proiettare se stesso nella struttura osservata e a identificarsi con un altro essere (vivente o no) in una sorta di comunione affettiva. Sopra ho già fatto riferimento alla posizione di Freud circa il termine Einfühlung da lui inteso come empatia e immedesimazione, ma che doveva essere trattato con il termine «tatto» perché in qualche modo pericoloso per i movimenti controtransferali sollevabili nella mente del terapeuta. Il termine mi appare caratterizzato per l’azione motoria che è ad esso implicita. È vero altresì che il termine faccia riferimento a qualcosa che è implicito alla sofferenza, al pathos, un’emozione strutturata dalla convergenza del Sé verso l’Io e dall’ulteriore movimento verso il raggiungimento dell’oggetto che, per definizione, non è il Sé ma Altro; cioè la presenza della consapevolezza della esistenza di un mondo esterno nella mente del soggetto e l’attrazione naturale che ne deriva nell’essere attratti e nell’andare verso esso. La creatività non potrebbe aver luogo se fosse al di fuori dell’empatia. L’amore non potrebbe essere vivibile se privo di empatia ma ricadrebbe nella condanna del narcisismo che nega l’oggetto
Il termine affetto nella dinamica della relazione con l’oggetto si propone come strutturante di un coacervo di emozioni coordinate tra loro nel raggiungimento e nel mantenimento del possesso dell’oggetto. L’Io deve ora cimentarsi con la realizzazione di una relazione valida solamente se questa risulta fondata sul costante riconoscimento dell’alterità come fatto presente nell’accettazione consapevole della altrui diversità.

Alcune considerazioni
La psicoanalisi, sostiene Ferenczi (1928) «è preferibile concepirla come un processo evolutivo che si sviluppa sotto i nostri occhi, piuttosto che l’opera di un architetto che cerca di realizzare un progetto predefinito». Sull’ uso del mondo emotivo nella relazione con il proprio paziente consiglia di essere «in accordo con [la regola dell’empatia] la più opportuna, la fiducia entusiasticamente ostentata nasconde quasi sempre una forte dose di sfiducia».
Si pone ora il problema della natura più intima dell’emozione. Una prima considera- zione nasce dall’osservazione clinica. Non esiste un evento emozionale che non sia accompagnato da una manifestazione somatica. Si potrebbe sostenere che la prima conoscenza che l’individuo fa è l’improvviso emergere di una connotativa esperienza sensoriale.
Matte Blanco (1975) si è ampiamente occupato di tale argomento, è celebre il capitolo su La natura dell’emozione del suo trattato. Per lui, l’emozione è determinata dall’intimo e indissolubile legame esistente tra un evento somatico - manifestazioni corporee registrate dai sistemi senso-percettivi dell’apparato neurale - e una specifica attività di pensiero - che predilige modalità (di pensiero) del tipo di tipo inconscio profondo (processo primario-inconscio simmetrico-attività pre-simbolica della mente).
L’esperienza emozionale nella sua intima essenza si caratterizza, quindi, per la sua caratteristica di tendere all’infinitizzazione, alla aspazialità e alla atemporalità dell’evento, dando luogo a una sfrenata spinta ad agire e a tutte quelle manifestazioni attive e difensi- ve che l’evento richiede.
Il riconoscimento di tali caratteristiche è indispensabile per la comprensione e il trattamento di tutti i quadri clinici che richiedono un intervento psicoterapeutico, tanto più se di tipo psicoanalitico. Penso che essere attenti a cogliere le comunicazioni inconsce (non rimosse) nel lavoro psicoterapeutico possa abbreviare il percorso interpretativo e fornire quindi al terapeuta segni illuminati del percorso da seguire nella relazione transfert-controtransfert. Quindi preziose informazioni che indirizzano la restituzione terapeutica su percorsi più immediati, propri della tecnica della psicoterapia psicoanalitica.

Nella dizione abituale, l’emozione viene definita come uno stato complesso dell’organismo caratterizzato dalla concomitanza di eventi di ordine psicologico e di ordine fisiologico che vengono sperimentati nella loro globalità quali stati di gioia di rabbia, di paura, di vergogna, di amore e di odio e così via (Enciclopedia La Repubblica - Utet 2003, p. 205). Da qui si può considerare che anche in ambiti culturali non di tipo psicoa- nalitico sia possibile trovare conferma della copresenza e della simultaneità dei suoi componenti (somatici e psichici).
Tutto ciò autorizza a ritenere che l’emozione per sua natura appaia indiscutibilmente come un evento tipico di relazione biunivoca soma-psiche. Ma se tale può essere l’oggetto considerato si può anche ritenere che l’esperienza emozionale mobiliti all’interno della mente la riemersione di contenuti che fanno riferimento a stagioni molto precoci dello sviluppo mentale per il quale non si è potuto ancora accedere al livello della simbolizzazione; sviluppo non ancora strutturato, ma sospeso perché incapsulato in un livello di ordinamento psichico precoce e indifferenziato e quindi non pensabile né elaborabile in termini di significato e di simbolo ma allo stesso tempo circoscritto nello spazio della mente di quel soggetto che in quel momento lo vive e, in qualche modo, lo esperisce non definibile.

Intorno a queste osservazioni si possono sviluppare alcune considerazioni.
L’esperienza sensoriale come tale è fuggevole, dura un attimo ed esige di essere rivestita del pensiero relativo all’evento che sta accadendo. Solo così può essere conosciuta e distinta e trattenuta nella mente: attraverso l’uso della memoria dal soggetto. Altrimenti è destinata a restare sospesa nella coscienza ed essere fonte di una sofferenza indefinibile relativa all’esperienza dolorosa che resta allo stesso tempo non elaborabile. In questo divenire l’emozione si costituisce come coloritura affettiva dell’evento, tappa obbligata del percorso conoscitivo nelle prossimità dell’ingresso nello spazio mentale adiacente alla coscienza. Il passaggio più delicato di tale percorso è attraversato dagli eventi delle sofferenze precoci proprie delle epoche più primitive della vita mentale, per loro natura, più vicine alle cose, ma che sono all’origine della sofferenza del pensiero poiché non vi è stata la possibilità di utilizzare la funzione alfa e pertanto tutto è rimasto sommerso in una condizione di sofferenza senza nome e resta depositato nei livelli più profondi della memoria sotto forma di memorie implicite proprie della fase dell’attività pre-simbolica (Mancia 2004). L’emozione per sua natura resta confinata e informe nei livelli più profondi della mente sottogiacenti a quello degli assunti di base, quel livelli in cui si incorre in esperienze emotive informi e indifferenziate (Bion 1971).
Certamente l’emozione è l’elemento costitutivo di ogni struttura affettiva e come tale entra nel pensiero, lo precede e ne costituisce il motore centrale che promuove tutto il concatenarsi dello sviluppo del pensiero e delle idee. Pertanto si giunge alla considerazione che l’emozione è la madre del pensiero, come sostenuto da Matte Blanco (1975).

4.
Si pone ora il quesito sulla qualità della presenza di una relazione nell’apparato psichico tra inconscio simmetrico non rimosso ed emozione.
Sotto un profilo strutturale e logico si può considerare che entrambi trasgrediscono totalmente la logica aristotelica dividente e il principio di non contraddizione (per il quale ad esempio se Giovanni è figlio di Pietro, Pietro allo stesso tempo non può essere figlio di Giovanni) per il quale una relazione non può essere uguale all’inverso della relazione stessa e allo stesso tempo non ha elementi che ne differenziano il presente dal passato così come non è distinguibile un’esperienza mentale da un’altra. Dunque l’esperienza emozionale è dominata dal regno dell’illogico così come l’inconscio non rimosso è pre- sente e attivo nella vita quotidiana accanto o indipendentemente dall’inconscio rimosso. Del resto l’inconscio non rimosso irrompe nel sogno con le più clamorose trasgressioni del regno della logica (Freud 1938).
Tutto ciò apre numerose considerazioni anche sulla tecnica della psicoterapia psicoanalitica nel corso della quale, differentemente da quanto ritenuto in passato, è opportuno e talvolta indispensabile fornire interpretazioni che affrontino le dinamiche dei processi mentali quali possano emergere nel corso del trattamento. Sono convinto che la conduzione di una psicoterapia non possa restare estranea alle clamorose comparse delle figure dell’inconscio non rimosso che chiedono spiegazioni non rinviabili sull’hic et nunc dell’evento e che per loro natura divengono il perno sul quale ruota tutto il mondo in- conscio, oggetto della esplorazione psicoanalitica.

Fin qui l’emozione è considerata come processo primario nella funzione della mente, vale a dire non viene considerato su un piano dinamico e relazionale bensì su un piano logico: come dire, considerarla un’entità psichica ferma arrestata e sospesa all’interno di una struttura al di fuori e indipendentemente dal considerare un mondo esteso di relazioni che possono intercorrere con l’ambiente e con il gruppo di individui. L’emozione si presenta dunque come un’unità di base, una pietra costitutiva della empatia, dell’affetto, dell’arte, della creatività e della relazione gruppale e sociale e, sopra tutto, motore centrale di tutte le relazioni intersoggettive e del pensiero. Cioè va considerata come un evento in sé che ha una propria struttura specifica insediata a congiunzione della relazione, sempre e ovunque presente nel corso dell’accadere psichico, tra il somatico e lo psichico. Non può infatti esistere un’emozione al di fuori del riconoscimento di un’esperienza senso-percettiva indipendente dal riconoscimento di senso di un evento corporeo. Ci si rende conto pertanto che tutta la vita e tutto il mondo fa perno intorno all’evento emozionale che accompagna ogni momento l’esperienza dell’essere sé di un individuo.
Da considerare inoltre che l’uso delle sostanze psicoattive e in particolare le droghe ha la capacità di riprodurre, anche se parzialmente e in maniera distorta, l’esperienza somatica in maniera scissa dal contenuto della esperienza totale somatopsichica e proporre quindi un mondo esperienziale gratificante e confusivo che ne distorce la dimensione della realtà. Problema certamente complesso e non facile appare quindi l’operazione psicoterapeutica di riconversione verso il reale nella necessità di dare senso all’attualità dell’intervento trasformativo.
Da qui nasce il convincimento che una psicoterapia psicoanalitica, proprio per la sua precipua caratteristica di immediatezza di intervento e di essenzialità di campo precocemente individuabile, ha una necessità inderogabile di cogliere i multiformi aspetti con i quali si innesta in molteplici percorsi che coinvolgono simultaneamente i vari livelli di strutturazione del mondo inconscio nella specifica articolazione che esso ha creato con la coscienza (Matte Blanco 1995). A tale proposito considero i tipici quadri di disagio psicosomatico, dell’anoressia, della dipendenza, borderline e la precoce sofferenza del Sé come campi specifici di competenza della psicoterapia psicoanalitica, la quale è in grado di muoversi agevolmente su campi diversificati della sofferenza mentale. Nasce di conseguenza l’opportunità che lo psicoterapeuta di formazione e orientamento psicoanalitico abbia raggiunto la capacità personale di spaziare e passeggiare liberamente e ordinata- mente nei vari livelli (cinque secondo la diversa ricombinazione delle due forme dell’inconscio, rimosso e non rimosso secondo la concezione freudiana e ripresa da Matte Blanco) del mondo inconscio del proprio paziente e che, attraverso tale walking possa cogliere qua e là i prodotti del mondo interno attraverso quella capacità raggiunta di muoversi nella varie direzioni orizzontali e verticali della spazio mentale del paziente.

L’esteso studio condotto da Matte Blanco (1975) sulla natura dell’emozione affronta il «misterioso salto» di Felix Deutsch (1959), (se tale si può ancora dire!), dalla mente al corpo. Sono convinto che se Matte Blanco fosse ancora vivo avrebbe potuto sviluppare la sua riflessione individuando aspetti strutturali, dell’uno e dell’altro termine del sistema, che avrebbero potuto dialogare strettamente tra loro per confondersi simmetricamente l’uno nell’altro. Tali aspetti, infatti, - somatici e psichici - in quanto riconoscibili e individuabili, in quanto appartenenti entrambi alla stessa classe di complessità si propongono alla coscienza dell’individuo esperibili e vivibili come una unità unica e indivisibile. (Entrambi, il somatico e lo psichico, fanno infatti riferimento ad una complessità sempre più estesa e crescente fino a divenire scambiabili al punto di unificarsi nella confusione dell’una nell’altra). Infatti, il modello somatico appare all’osservatore caratterizzato per una complessità crescente tanto che è possibile sostenere che, anche alla luce dei continui progressi delle neuroscienze – il funzionamento della memoria (Edelman 1987), dell’imitazione e delle risposte motorie (Rizzolatti 2006) dei neuroni specchio - porta in sé un aspetto simmetrizzante e infinitizzante dei propri modelli funzionali che, come tale, viene a integrarsi, ad assumere e fare parte delle caratteristiche strutturali che sono proprie dell’inconscio simmetrico non rimosso.

Si può ritenere che il substrato della rappresentazione delle emozioni e dei sentimenti sia legato «ad una raccolta di disposizioni neurali in un certo numero di regioni cerebrali situate in gran parte nei nuclei subcorticali del tronco encefalico, dell’ipotalamo, del prosencefalo basale e dell’amigdala. […] Lo schema di attivazione rappresenta (di per sé) nel cervello un’ emozione particolare come un oggetto neurale, d’altra parte lo schema di attivazione genera risposte esplicite che modificano sia lo stato del corpo sia lo stato di altre regioni cerebrali in tal modo le risposte creano uno stato emotivo pertanto l’organismo è coinvolto in un’emozione […] lo stato interno dell’organismo ha a disposizione tanto l’emozione come oggetto neurale quanto le conseguenze dell’attivazione, un sentimento, a patto che la risultante raccolta di configurazioni neurali si trasformi in qualche immagine mentale» (Damasio1999, pp. 102-103).

Il rigoroso ordine concettuale con il quale Matte Blanco affronta il problema dell’esperienza unitaria del dolore, quando riferisce l’esempio dell’esperienza del dolore dentario indotto dall’ uso del trapano (un tempo in uso senza l’aiuto dell’anestetico), mette in evidenza l’intimo legame esistente tra percezione del dolore e coscienza della esperienza, sottolineando l’azione centrale della coscienza - nella propria esigenza di ricerca di senso - con tutto il corteo sintomatologico dominato dall’esperienza emozionale che fornisce una coloritura particolare all’esperienza stessa, ma allo stesso tempo, se sottoposta alla logica dividente diviene analizzabile, quindi è meglio contenibile. È possibile schematizzare tale esperienza quando si pone allo stesso tempo in evidenza il seguente modello. L’asse dell’esperienza emozionale appare riassumibile nel modo seguente: esperienza sensoriale circoscritta alla terminazione recettoriale versus dimensione percettiva unitaria (differenza tra esperienza sensoriale periferica e percezione unitaria) e distinguente, legata al coinvolgimento di più sistemi recettoriali e quindi versus attivazione di un sistema neurale che è coinvolto versus contenuto affettivo emozionale attivato dal sistema recettoriale e dalla coloritura affettiva propria dei sistemi propriocettivi ascendenti versus elaborazione superiore corticale con attivazione della coscienza e riconoscimento della sede e della relazione esistente tra contenuti psichici presenti e contributi mnestici depositati nella mente.

L’intreccio tra evento così-detto somatico ed evento così-detto mentale appare costantemente presente e diffuso in tutte le esperienze relative a stimolazioni che provengono sia dal mondo esterno che dal mondo interno.
Basta pensare alla possibilità di comparsa di manifestazioni auto-percettive inscindibili da alcuni contenuti mentali: la paura che fa tremare di fronte ad un reale pericolo imminente, la forte spinta motoria ad aggredire il proprio nemico fino al punto di poterlo materialmente distruggere (risposta motoria-neuroni specchio). Tutte operazioni queste che possono nascere da una informazione pervenuta poco prima così come da una ingiuria o da una offesa verbale. Possiamo infatti ipotizzare che l’induzione non cosciente di una esperienza emozionale sia legata alla ripetizione nella memoria di un evento al quale si è accompagnato il medesimo contenuto emozionale che ha indotto in passato la medesima risposta. Ciò accadrebbe ad opera del raggiungimento nella propria mente di quel livello di inconscio simmetrico non rimosso nel quale è rimasto inscritto l’evento emozionale precedente. Tutto ciò resta legato all’impregnazione mnestica depositata nella memoria di natura anche neurale (Modell, 1990) e dare luogo alle risposte motorie disponibili (Rizzolatti – Sinigallia 2006).

Penso che la psicoterapia psicoanalitica abbia molta necessità di confrontarsi sul problema della natura della emozione e che sarebbe opportuno orientare il training formati- vo su tale linee di ricerca.

 

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