Luigi Antonio Perrotta. Adolescence (2025). Un commento tra le righe

(SPOILER)

«Il mondo è ricoperto dalle nostre tracce
ferite che copriamo con la vernice
guarda quanti predicano amare bugie
io preferirei vedere il mondo con gli occhi di un bambino»
Through the eyes of a child – Aurora

Adolescence è una miniserie britannica del 2025, composta da quattro episodi, diretta da Philip Barantini e ideata da Jack Thorne e Stephen Graham. Ambientata in una cittadina della periferia inglese, narra le vicende che ruotano intorno ad un omicidio commesso da un ragazzino tredicenne Jamie Miller ai danni di una sua coetanea Katie Leonard, molto conosciuta e benvoluta da amici, compagni e conoscenti.
Adolescence tocca, fa discutere, riflettere, angoscia e disturba. La complessità del periodo adolescenziale, l’aggressività e la violenza tra i giovanissimi – nelle articolate sfumature in cui si esprimono – la distruttività, il bullismo e il cyberbullismo, il virtuale come contenitore identitario sono alcuni dei temi condensati in questa produzione. Questioni complesse e delicate che scuotono l’attenzione pubblica e interrogano gli specialisti. Tutti elementi che necessitano di attenzione, cura, sguardo e ascolto attenti e sensibili nonostante l’enorme portato di inquietudine che attivano.
Una premessa necessaria. Nel cortometraggio Lo schermo opaco realizzato da Boccara e Riefolo (2006), gli autori ci invitano a leggere le scene e le costruzioni narrative proposte dalle produzioni cinematografiche e televisive, come dettagli di un sogno, invece di intenderli come una descrizione degli eventi per come sono mostrati. Faccio un esempio: se assistiamo ad una scena (di un film o di una serie) in cui paziente e terapeuta si baciano o si abbracciano – aspetto che trasgredisce una regola fondamentale dell’assetto etico della relazione clinica – potremmo leggerla non come un errore e uno scandalo per l’evento concreto in sé ma, piuttosto, come il tentativo di evocare un certo grado di intimità e un profondo scambio affettivo nella coppia paziente-terapeuta e mostrarlo per immagini ed esprimerlo con un gesto sono tra i modi più potenti per trasmetterlo all’altro.
Vorrei usare questo assetto nel commentare questa miniserie, soffermandomi su alcuni punti, anche liminali, proponendone una meta-riflessione. Questo atteggiamento è rappresentativo di quando ci disponiamo ad ascoltare l’altro come psicoanalisti, con: «una peculiare qualità dell’attenzione, sempre volta a ciò che non è presente, a ciò che è sotto il discorso, tra le parole, dietro i fatti» (Cotrufo 2016).

La locandina: sguardi
Il primo elemento che mi colpisce è la locandina: un’immagine potente ed evocativa. Vediamo lo sguardo fugace del ragazzino che cerca di intercettare quello del padre che, tuttavia, sfugge e gli sfugge. Lo sguardo di Jamie può avere diverse qualità, tutte rappresentative del suo stato d’animo quanto delle sue intenzioni: manipolazione, vergogna, dolore, spavento, provocazione, oppositività. Qualsiasi contenuto veicoli è significativo che non si incontra con quello dell’adulto-padre di riferimento che potrebbe accoglierlo, “processarlo”, inserirlo in una cornice che lo significhi e lo normi. A questo proposito la narrazione delle vicende pone particolare enfasi su un ricordo richiamato prima dal figlio, durante il colloquio con la psicologa presso l’istituto dov’è detenuto, poi dal padre nel dialogo finale con la moglie. È il ricordo di una gara sportiva di calcio in cui Jamie gioca e in cui commetterebbe degli errori e agli insulti degli altri, il padre di Jamie distoglie lo sguardo dal proprio figlio, non risponde agli insulti degli altri genitori o compagni di gioco ed evita di mostrare al figlio i propri affetti. Al contempo Jaime racconta di cercare in quel frangente lo sguardo del padre che però quest’ultimo sottrae. Qualsiasi sia il contenuto di quegli sguardi – sia da parte del figlio rivolto al padre, sia da parte del padre rivolto al proprio figlio – quel punto di contatto viene a mancare. Credo che questo sia un elemento nodale, una crepa nel complesso legame tra l’esperienza vissuta e la possibilità di dare a questa esperienza, per quanto brutta possa essere, una visibilità, un contenitore che la legittimi, che la riconosca per inserirla nella realtà del legame con l’altro e per non lasciarla “illecita” e potenzialmente debordante. Questa corrispondenza di sguardi, insieme alla difficoltà nel significarne i contenuti che veicolano, sembra collassare e creare le premesse per una difficoltà a dare senso a ciò che si vive e a ciò che accade, così com’è impossibile dare senso al comportamento di Jamie. Come psicoanalisti sappiamo quanto sia necessario farsi carico dei contenuti più inaccettabili e inaccessibili della psiche dell’individuo. Poter creare spazi di pensabilità per aspetti verso i quali si “distoglie” lo sguardo. “Vedere” è fondamentale perché questi contenuti possano essere riconosciuti e non diventino materiale detonante per agiti ciechi di chi li nega. Riprendendo Freud (1912), nessun nemico può essere battuto in absentia o in effigie e senza essere profondamente compreso.

La scelta tecnica: piano sequenza
La serie è girata con una specifica tecnica cinematografica che consiste nel riprendere una scena intera in un’unica inquadratura. Il piano sequenza non si avvale del montaggio, che attua un processo di sintesi e di taglio di elementi che non servono al racconto, sfruttando la molteplicità dei piani all’interno della singola ripresa, aderendo al tempo del mondo reale. Questa scelta ha ricadute importanti sul piano affettivo nel rapporto con la narrazione degli eventi e lo spettatore: ci immette negli accadimenti e non dà tregua. Entrati nelle vicende ne siamo travolti. Ecco quello che accade, a tanti livelli, ai vari personaggi coinvolti nelle vicende descritte. Si muove qualcosa che non offre respiro, che è impossibile da “montare”, ripensare e ricucire, una processualità che non offre riparo, né scampo, accade e lo spettatore la segue.

Insaturo: spazi aperti
Lo spettatore segue le vicende senza pause, sia cinematografiche che fantasmatiche, coinvolto – se non travolto – dall’incalzare emotivo e narrativo, in attesa di chiarimenti e di approfondimenti, sospeso in una sequenzialità che avvicina elementi complessi e al contempo ne tiene sullo sfondo altri. Penso, ad esempio, che non compaiono mai i genitori della vittima. Come si svolgerà il processo e quale sarà la sentenza? C’è un’ammissione di colpa indiretta di Jaime, durante un colloquio con la psicologa (dettaglio che commenterò più avanti) e diretta quando, all’approssimarsi della conclusione, confiderà al padre di volersi dichiarare colpevole. Eppure come evolverà tutto questo? Qual è la storia della famiglia di Jaime? Come si sviluppano le vicende che precedono il comportamento criminoso? Chi è Katie, la vittima? Che esito hanno le valutazioni dei due psicologici che hanno in carico Jaime? Quali dettagli sulla vita e sui vissuti della sorella di Jaime, Lisa?
Credo che questa peculiarità possa essere letta, su un piano più complesso, come specifica di una modalità di confrontarsi con questioni particolarmente delicate e con un evento così drammatico e traumatico come l’omicidio di una ragazzina: una frammentazione che disperde. Ritengo, inoltre, che questo insaturo e questa quota di “non sapere” caratterizzino il rapporto tra mondo adulto e mondo adolescenziale. Non sapremo mai tutto, non è possibile rendere intellegibile tanti dettagli, molti inevitabilmente sfuggono. Questa è la complessità di ogni processo di conoscenza dell’altro, soprattutto quando ad essere implicati sono i protagonisti di due mondi così distanti: adulti e adolescenti. Questa frammentarietà di sapere è contemporaneamente causa ed effetto. Causa di comportamenti di cui ignoriamo le determinanti profonde ed effetto di una presenza rarefatta di adulti di riferimento che faticano a “vedere” spregiudicatamente e più consapevolmente ciò che accade prima della tragedia. Ciò che resta è la sensazione che non sapremo mai, fino in fondo, le reali motivazioni di Jaime; non riusciremo mai davvero a penetrare i complessi codici comunicativi e il sistema sociale degli adolescenti; non riusciremo mai a sentire fino in fondo la disperazione che si anima dietro le quinte della vita dei diversi personaggi, né prima né dopo i tragici eventi. Anche le indagini sembrano orientate alla ricerca delle prove, del movente e dell’arma del delitto, una necessità per “chiudere” il caso (aspetto che riprenderò più avanti), non per comprenderlo. Tutta la serie, inoltre, si costruisce su questa quota di rifiuto e sin dall’inizio i poliziotti, gli inquirenti responsabili del caso, l’infermiera, l’avvocato, dichiarano, in maniera esplicita o allusiva, la loro difficoltà e il loro imbarazzo ad affrontare queste situazioni quando si tratta di un minore.

Ammissione di colpa involontaria: una posizione anelata ma temuta
La psicologa Briony Ariston, una dei due specialisti coinvolti nel caso, fa visita a Jamie nel centro d’istruzione minorile Standling dov’è ospitato in attesa del processo. Il suo compito è “capire se Jaime ha capito”, formulando una relazione dettagliata del profilo psicologico e delle condizioni psichiche del ragazzino. Un incontro complesso che evoca profondi stati d’animo nello spettatore e può offrire uno spaccato della complessità di tenuta e di movimento interno della psicologa. Mi vorrei soffermare su un dettaglio interessante che può essere caratteristico dell’adolescenza. Durante il colloquio con la dottoressa, Jaime involontariamente è portato ad esplicitare: “ciò che ho fatto”. Subito dopo, con rabbia e agitazione accusa la dottoressa di avergli “messo in bocca quelle parole”, dichiarando che stesse giocando con lui, incastrandolo con una presunta ammissione di colpa. L’ammissione involontaria, la rabbia e il turbamento che ne conseguono, insieme all’accusa rivolta alla specialista, mi sembrano elementi cruciali per poter descrivere un vissuto specifico di questa tappa evolutiva, cioè che l’adolescente non riesce a sentire ancora suo qualcosa per cui vorrebbe essere riconosciuto ma per cui prova fatica e turbamento quando se lo sente addosso, angosciato dal suo peso e dalla posizione in cui “questa ammissione” lo mette.
L’adolescenza è una fase dello sviluppo insidiosa, in cui ogni collocazione è incerta. Una fase della vita dominata da movimenti tellurici violenti e destabilizzanti che rendono difficile, se non spesso impossibile, ogni ammissione specifica di “responsabilità”. Nessuna posizione è definita, infatti solo alla fine della serie, Jaime, confiderà al padre di volersi dichiarare colpevole. In questo passaggio l’illusione di innocenza del figlio, che il padre alimentava, crolla e il figlio stesso assume una posizione nuova, “cambia idea”, la sua posizione da adulto, nell’accettazione della sua drammatica responsabilità, può essere espressa e assunta con tutte le conseguenze.

La scuola: adulti evanescenti e adolescenti soli
Trascorsi tre giorni dall’omicidio, l’ispettore Luke Bascombe e il sergente Misha Frank si recano presso la Bruntwood Academy, la scuola media frequentata da Jamie (accusato) e Katie (vittima) per sensibilizzare gli allievi a collaborare con la polizia, qualora fossero a conoscenza di dettagli relativi agli eventi. L’attenzione si concentra sulla ricerca di un movente e dell’arma del delitto, ancora non recuperata. Ciò che avviene e a scuola tra gli adulti – insegnanti, tutor e poliziotti – e i ragazzi è potente. Molti studenti deridono i poliziotti, sminuiscono gli eventi accaduti, fuggono dall’attenzione impacciata dei loro referenti adulti. Si assiste ad un clima confuso in cui manca qualsiasi elemento normativo capace di limitare i comportamenti dei ragazzi che diventano aggressivi e indisciplinati.
Ciò che possiamo notare è che non compaiono (mai) adulti autorevoli ma figure evanescenti che si slabbrano in continuazione nell’incontro con gli adolescenti e, direi, con l’adolescenza. Come suggerisce il sergente Misha Frank la scuola porta con sé un’impronta chiara: “puzza”. Questo assetto può essere leggibile come la grande difficoltà a transitare in questo luogo/esperienza. Occorre chiudere quanto prima il contatto con la puzza adolescenziale, trovare un motivo accettabile per quanto accaduto per poter scappare via. La fatica a sentire ciò che accade, ad ascoltare le comunicazioni che vengono dai ragazzi è sintomo di un’organizzazione difensiva che tende a rimuovere elementi della nostra storia passata, evacuandoli e rendendoci incapaci di sentire e anche di capire più intimamente ciò che sta accadendo nel presente. Quello che viene esplicitato da parte degli adulti, in questo episodio, è l’urgente bisogno di chiudere con la turbolenza che il contatto con il mondo adolescenziale produce. Un incontro difficile che lascia tante aree incomprensibili, soprattutto quando ad essere compromessa, rimossa o in-elaborata è la stessa adolescenza dell’adulto che vi si implica. Se trovare il movente non è direttamente connesso al capire le complesse motivazioni che muovono i drammatici e violenti gesti come quello commesso da Jaime, così descrivere un comportamento non ci dice tutto delle articolate dinamiche che lo hanno determinato. Dinamiche che intrecciano fattori culturali, storici, psicologici e psicopatologici, sociali e transgenerazionali.
Ciò che accade oggi ha un’intima connessione con il passato. Il presente è espressione attuale di movimenti che hanno avuto origine nelle fasi della storia precedenti. La complessa situazione degli adolescenti oggi è evolutivamente legata alle peculiarità delle generazioni che l’hanno preceduta, un legame spesso reciso con imbarazzo, con atteggiamenti colpevolizzanti da parte degli adulti e finanche con una quota difensiva di banalizzazione insieme ad una negazione massiccia a malapena scalfita quando gli eventi diventano drammatici.
Questo link tra passato e presente, il coinvolgimento delle diverse generazioni implicate è accennato dal padre di Jaime. L’uomo, nel tentativo di capire i suoi potenziali errori di padre, accenna alla sua adolescenza e al rapporto con il suo padre violento (nonno di Jaime). Confessa che avrebbe voluto costruire un legame differente con suo figlio qualora fosse diventato padre, eppure una quota di violenza sembra scorrere tra le generazioni per manifestarsi successivamente. Ciò che siamo non è né può essere indipendente da ciò che è stato prima di noi.

Intimità interrotta: un peso insostenibile
A scuola c’è un personaggio che colpisce la mia attenzione, è Jade, la migliore amica di Katie. La ragazza ha un breve dialogo con un’insegnante e l’evoluzione di questo contatto credo eliciti un nodo critico del rapporto tra adulto e adolescente. Jade è una ragazza di colore che mette in risalto più questioni contemporaneamente: integrazione, lealtà, disaccordo tra giovanissimi e adulti. Pur essendo la migliore amica della vittima palesa delle remore chiare sulla possibilità di andare a trovare i genitori di Katie, come suggerito dall’insegnante, chiarendo che non sarebbero affatto felici di vederla. Il dialogo tra questa ragazza e l’insegnante è uno dei pochi momenti di vicinanza tra un adulto e un adolescente. Anche la ripresa si “stringe” sulle protagoniste in un momento delicato e intimo del loro incontro. Tuttavia questa sintonia si spezza facilmente quando l’insegnante, piuttosto che essere dov’era, e continuare ad ascoltare la ragazza che era diventata più disponibile al dialogo (dopo aver aggredito il compagno) le suggerisce di rivolgersi ad uno specialista. Non è la proposta in sé ad essere sbagliata ma il timing. Ancora una volta sembra essere rappresentata una certa difficoltà dell’adulto a sostenere la fatica di un incontro autentico con una ragazzina. Esserci, ascoltare, farsi trovare dove Jade la stava cercando è un compito difficile e l’appello allo specialista non è proposto tanto quanto un elemento di supporto e di aiuto ma vissuto come un passaggio di un peso “problematico” e insostenibile, un’espulsione di una criticità che può solo essere “presa in carico” e “curata” senza l’implicazione del contesto più ampio dove si è generata. 

Un allarme da ascoltare
In definitiva vorrei ipotizzare che in certa misura l’intera miniserie rappresenti un’invocazione di aiuto che rimane, purtroppo, spesso inascoltata o intercettata a malapena, in una maniera che fa fatica a contattare realmente il mondo adolescenziale. Ritorno a scuola, nel secondo episodio, quando scatta un “allarme” che mobilita l’intero corpo docenti e tutti gli studenti. È in quel frangente che Jade, la migliore amica della vittima, aggredisce il compagno di scuola Ryan. Un “falso allarme” dopo il quale, faticosamente e scompostamente, tutti cercano di riprendere i propri posti ed è lì che l’escalation di irriverenza e maleducazione nei confronti degli adulti presenti, nei loro diversi ruoli, da parte dei ragazzi, aumenta senza contenimento. Questo “falso allarme” sembra non sortire effetti sostanziosi. Quale risposta verso una sofferenza deflagrante, profonda e complessa di cui ciascuno deve farsi carico e nella quale occorre implicarsi?

Filmografia
Boccara P., Riefolo G., Lo schermo opaco (2006). 

Bibliografia
Freud S. (1912). Dinamica della Traslazione. In Tecnica della psicoanalisi. O.S.F., 6. Torino: Torino: Bollati Boringhieri Editore, 1974.
Cotrufo, P., Zoe Mia madre odia le carote. Corrispondenza psicoanalitica tra sconosciuti. Anoressia, corpo, sessualità – Mimesis Edizioni 2005.

 

Iscriviti alla nostra newsletter

*
*
* campo obbligatorio
* campo obbligatorio

s.i.p.p.

Il sito internet sippnet.it della Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica rispetta le linee guida nazionali della FNOMCeO in materia di pubblicità sanitaria, secondo gli artt. 55-56-57 del Codice di Deontologia Medica.

Tel:
0685358650
Email:
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Indirizzo:
Via Po 102
Roma



© SippNet. P.IVA 01350831002