Santina Bucca. Enea: tra mito e visione contemporanea
La speranza è una letizia incostante,
nata dall’idea di una cosa futura o preterita,
il cui evento rimane tuttavia dubbioso
De Spinoza, B. 1677
Il film si apre con scambi verbali tra una donna di mezza età e due giovani adulti.
La conversazione verte sull’umanità “rotta”, credere o no alla famiglia borghese. I due giovani esprimono le loro idee, l’uno si dice terrorizzato, parla di figure parentali che non hanno retto il vincolo matrimoniale, l’altro, si mostra dubbioso, se seguire il percorso individuale o “clanico”; il solo modo in cui può concepire la famiglia è un gruppo con uno scopo comune, pronto a tutto pur di raggiungerlo. Quest’ultimo personaggio si chiama Enea ed è il protagonista.
Anche la donna, mamma di Enea, riflette sui legami, sulle coppie spente, trasmette un messaggio di unicità della vita “si, la vita è una soltanto...”, ritenendosi fortunata ad avere incontrato la persona giusta, Celeste, ma considerando che in caso contrario avrebbe potuto dedicarsi a diversi svaghi.
Il connubio vita-morte fa il suo ingresso, sarà centrale in tutto il film.
Sempre tra le prime scene la famiglia a tavola, due fratelli in lotta, un combattimento corporeo iniziato dal minore, non si capisce bene il confine tra il gioco, e la lotta per la dominanza.
Enea è il proprietario di un ristorante di sushi, fuma la sigaretta elettronica, fa parte di un circolo di tennis della ricca borghesia romana, spaccia cocaina insieme all’amico Valentino e con il coinvolgimento del gestore di una sontuosa discoteca, molto frequentata.
In qualche recensione si parla di “microcriminalità da salotto”, avviando la lettura di uno stile di vita, concezione del denaro, dei rapporti, propri di un ordine sociale, a prescindere dalla specifica area geografica.
Valentino (l’altro giovane della scena iniziale) viene battezzato aviatore compiendo il primo volo in solitaria su Roma. Significativo a questo proposito il dialogo tra un personaggio maschile ed il ragazzo durante un tavolo di gioco di poker: «Mio nonno alla tua età sorvolava l’oceano»; «Tuo nonno alla mia età era già mio nonno». Le battute fanno pensare ad un cambiamento storico dei costumi familiari, al maggiore senso di responsabilità delle generazioni precedenti.
Il legame tra Enea e Valentino è molto intimo, si evince anche da immagini di vicinanza dei volti, forse vissuto in maniera differente dai due, comunque con caratteristiche di confidenza, concordia, intesa di opinioni, attrazione per l’avventura.
L’alternanza tra scene notturne, scintillanti, polverose, affollate, e cielo albeggiante, azzurro o intervallato da qualche nuvola, voli di gabbiani, vista dall’alto della città, rimanda al diniego di emozioni spiacevoli tramite l’iperattività, la musica, l’assunzione di sostanze, l’alcol, nondimeno con l’allontanamento in uno spazio lieve. Richiamano, inoltre, l’inconscio non rimosso, un livello simmetrico[1] calore-distanza. È come se si evocasse un contenitore che riceva una primitiva e opulenta eccitazione per riportarla ad una temperatura tale da consentire la connessione di idee.
Compare un’altra interprete femminile: Eva.
Enea la spia da un’alta siepe. L’inquadratura larga fa tornare ad un mondo antico di selve, boschi, e ninfe o dee osservate di nascosto. Lei gioca a tennis ed emette dei gemiti.
La bellezza entra a far parte dei dialoghi tra i due quando avverrà il primo appuntamento.
Enea: «(…). Perché sei bella. Io penso spesso alle ragazze belle. Le ragazze belle rendono la vita leggera, come le nuvole, come un treno di nuvole».
Il significato sottinteso è duplice, rinvia all’estetica, non tanto o non solo come percezione di un bel corpo, mimica, armonia, equilibrio, a metà strada tra categoria a priori e sensibilità interiore; in senso più sfuggente possesso, di beni, e intelligenza.
Eva appare come simbolo di rispecchiamento e traduzione di elementi mortiferi; è colei che desta l’amore, tende a stabilire il legame K, la conoscenza, verso la verità. Enea, difatti, al di là delle relazioni diffuse, si mostra turbato, in cerca di risposte, di volontà di “vincere”, in navigazione verso una terra.
Le avversità non tarderanno ad arrivare.
Il compenso per un grande affare, inerente alla cocaina piazzata, rimane ai due amici dopo l’uccisione dei gangster narcotrafficanti. Uno dei due, Giordano, interrogato da Enea, in una scena tra le più toccanti, aveva proferito valide affermazioni sulle età della vita, ritenendo che “per diventare vecchi ci vuole l’amore”, suggerendo, di dimostrare alla sua ragazza di volerle bene, di baciarla, e la generatività biologica; Giordano e il “compà” sono appunto freddati mentre scambiano aneddoti sulle loro madri, sul desiderio di baci, con in bocca quella prima parola “mamma”.
Così il destino sembra essere stabilito per i due amici, il locale, l’abitazione di Enea vengono messi sottosopra da malviventi che vorrebbero appropriarsi dei soldi. E qui ancora interviene Eva che non sa ma intuisce. Sarà lei a paragonare volti di pupazzetti che girano su una ruota a quelli delle persone che sono attorno a loro ed a considerarli “non allegri ma violenti”, rilevando dunque aggressività dietro l’apparente festosità. -Sorridono e vanno avanti. Sorridono e vanno avanti. Tu sei uguale-.
Enea e Valentino non intendono rivelare nulla, anche quando un noto scrittore, il “direttore”, che si mostra sulla via della giustizia, palesa di sapere ogni cosa dell’attività clandestina e vuole i dettagli sui motivi dell’uccisione.
Significativa a tal proposito la distinzione spinoziana tra potere e potenza. La potenza, qualità divina di ogni essere vivente, è uno “sforzo (conatus) di autoconservazione” (Damasio, 2003, 229), nell’uomo diviene agire in vista dell’utile, ciò che rientra nelle proprie possibilità. Credo ci sia anche un riferimento alla volontà di potenza di Nietzsche, nel senso di non fermarsi all’Io ma di esplorare le proprie potenzialità, creando nuovi valori. Il potere è circoscritto alla sfera personale, all’ambizione.
Si stabilisce comunque che lo scrittore morirà, se ne occuperà lo stesso Enea.
L’intrapsichico del mondo giovanile rappresentato, lo pensiamo caratterizzato da difese precoci, come diniego di oggetti sia buoni che cattivi, l’accrescimento della forza, ovvero l’onnipotenza, intimamente connessa alle pulsioni sadiche, al trionfo che ne è una componente, e l’idealizzazione, inizialmente legata alla figura di riferimento (seno, oggetto) che soddisfa i bisogni in maniera immediata, intriso di perfezione (Klein,1921-58).
Analizziamo meglio il background familiare.
I genitori del protagonista, provano a capire ciò che succede ai due figli, sebbene occupati più da loro stessi, dalla rabbia, dal raggiungimento di un equilibrio psicofisico (la madre immergendosi in pratiche yoga), così il prendersi cura appare a tratti didascalico, poco propenso all’ascolto degli stati d’animo. Dietro l’apparenza, lo stare insieme a tavola, la comune partecipazione ad eventi pubblici si cela una difficoltà ad esprimersi, in modo vero tra loro, e in uno spazio sociale.
Celeste, psicologo, ricorre a strategie segrete, esternalizzanti per gestire la rabbia, malgrado “educhi” le persone “a farci amicizia”. La moglie sembrerebbe un passo avanti rispetto al riconoscimento emotivo, si avverte già dalle scene iniziali, renderà manifesto che qualcosa non va o non è mai andata per il verso giusto, soprattutto quando il figlio maggiore è inquieto, e ha l’appartamento a soqquadro; confesserà al marito di sentirsi inappagata, di odiare l’ambiente lavorativo nel quale svolge la professione di conduttrice di una rubrica di romanzi, mettendo in discussione l’atteggiamento intellettuale del coniuge, di entrambi.
Così Celeste, forse nel tentativo di dare un senso a momenti di turbolenza, legge una lettera inviatagli da un ragazzo che ha in cura. La lettera fa commuovere ed è incentrata sulla resistenza: “resistere alla noia, alle offese, a fare la spia”. La resistenza si nutre dal tenere dentro lo psicologo, in un periodo di allontanamento dalla città, che facilita l’attesa, le fantasie e consente “dolci trasgressioni”, riducendo il divario buono/cattivo.
Alcuni eventi anteriori, sembra non siano stati bene integrati, trasmessi. Durante un incontro delle festività natalizie, è uno dei parenti a tessere un filo transgenerazionale, raccontando della tradizione familiare di cucinare, ogni anno, il capitone. La narrazione, accompagnata, da foto del passato, fa scattare qualcosa in Enea, indebolisce l’aggressività. Emerge la pietas, che ha a che vedere con la giustizia, l’umanità, la mitezza.
Il contesto familiare dell’altro personaggio è un po' più sfumato, anche l’immagine materna non ben definita. Nella parte finale del film la madre, sofferente di depressione, si trova in clinica e Valentino decide di organizzare una festa in cui lui si esibirà (l’attore è nella realtà un musicista, dj, cantante, in arte “tutti fenomeni”), canterà intonando la canzone “spiagge”. Emerge un’unione profonda, nostalgica, regale con l’immagine materna, che conserva caratteristiche di un’identificazione inconscia, che diverrà distruttiva.
Possiamo cogliere il circolo naturale-ritorno alla madre terra, al seno materno, delineato da Freud in Il motivo della scelta degli scrigni (Freud, 1913), breve scritto che tratta il tema della scelta tra la seduzione dell’amore e la morte, approfondito anni dopo in Al di là del principio di piacere (Freud, 1920). In questa situazione ed in generale nell’intero film, non c’è tanto il ritorno ad uno stato di assenza di tensioni, precedente alla vita stessa, ma l’essere consapevoli, e avere la soddisfazione di essere testimoni della propria distruzione (Joseph, 1991, 152).
Enea è un film avvincente e ambizioso. In uno sfondo di riferimenti filosofici, oltre a quelli già citati, la bellezza, il valore dell'amicizia, attuali (l’elettrico, l’ambiente), artistico-letterari, come l’epopea, ma anche azzarderei di tipo surreale, un’immagine stile Magritte nella scena conclusiva, attraversando le sfumature dell’odio, la rabbia, la distruttività, il disprezzo, riesce a mantenersi fluente, ad alleviare i pensieri con l’immaginazione, con l’ironia, la convivialità dell’Eros.
Il film non cade nel tranello di giudizi morali. Sono proposte soluzioni ad alcuni quesiti, ma non imposte.
Le inquadrature, i primi piani, denotano un travaglio interiore, e a tratti uno sguardo unitario-intuitivo sul mondo, perlopiù consentono di seguire la macchina da presa, d; c’è il gioco di riflessi, un Io catturato dall’immagine, dallo specchio, che può ridursi in schegge, poiché in disaccordo con la realtà intrapsichica, sensoriale.
Il regista-attore, Pietro Castellitto, canta Roma, la città italiana che più si presta alla magnanimità, alle celebrazioni, e prima di tutto a tramandare la storia, a rintracciare le origini, greco-romane. (Malvezzi, 1991). All’eroe troiano è affidata la missione di fondazione di una nuova patria, i sentimenti rimangono subordinati ad essa, lo rendono in preda all’ira, desideroso di condurre un’esistenza tranquilla, sensibile, non possono però essere assecondati per via di un progetto provvidenziale: la fondazione, in un lontano futuro di un rinnovato assetto sociale del mondo. La forza e il coraggio divengono allora doti di resistenza[2] di fronte a sofferenza e sventure, che fa pensare al concetto di resilienza.
La Roma meravigliosa, si scontra con stati d’animo di paura, di chiusura, di voglia di riscatto, probabilmente di desiderio di un ambiente più raccolto, meno dispersivo.
Non è semplice riconoscere l’eroe virgiliano, nel nostro Enea, che sembra permanere nell’agiatezza e luccichio di una patria già fondata, che usa e procura ad altri sostanze stupefacenti.
A ben guardare, però, è l’azione che contrasta la morte, l’afflosciarsi in un mondo che in nome di un cliché sacrifica soggettività e curiosità, permette una differenziazione dal gruppo, di avere una propria meta, sogni da realizzare, non ripetitivi, non prestabiliti da un’appartenenza sociale.
Il protagonista si fa portavoce di un’insoddisfazione comune, generazionale, di un viaggio verso un bene vero, che non può non imbattersi in avvenimenti spiacevoli, nel male, nel disordine, nell’imperfezione, come condizione antropomorfica.
Il giovane adulto comincia a sperimentare la libertà dell’agire ed insieme i limiti: il dolore, la paura di non farcela, la solitudine.
L’ interrogativo è: sono cambiati i giovani o i genitori? Tralasciando un aut aut si può asserire che i cambiamenti riguardano la struttura individuo-ambiente.
Le diversità nella struttura di personalità, materna in primis, più propensa all’autorealizzazione, meno centrata su un accudimento di tipo esclusivo verso la prole, sul contatto primitivo che costituisce l’essere, l’unità psiche-soma, e del secondo oggetto, il padre, che pur coinvolto in spinte al raggiungimento di obiettivi professionali non nasconde la soddisfazione di una funzione affettiva, s’intrecciano con variazioni nella struttura psichica dei figli.
E poi c’è la proiezione sulla prole di tutti “i sogni e i desideri irrealizzati dei genitori”, senza rinunce e “restrizioni” al “godimento” (Freud, 1914).
Tali aspetti, a mio parere, vanno considerati in una concezione di sé fragile, con aree di vuoto, che poi nel tentativo di compiere scelte decisive, rimane invischiato, cosicché l’individuazione, la risoluzione dell’Edipo, la quale comporta rinunce necessarie alla costituzione dell’identità, appaiono compromessi a priori.
Per concludere torno al personaggio principale. Il pensiero è sempre recuperato in Enea, nonostante le pause, la necessità di stimoli, l’aria spavalda, il distacco. I vari eventi provocano modificazioni nel suo mondo interno, contribuiscono a discernere le emozioni, alla formazione della coscienza morale, in modo da potere affrontare la perdita e andare verso la separazione.
Il film, allora, malgrado la sorpresa e l’immediata disillusione, finisce bene poiché aprendosi al desiderio, alla trasmissione transgenerazionale, alle tracce del passato, all’integrazione amore-odio, all’interiorizzazione della coppia genitoriale, alla forza di Eros, consente che sul pericolo interno prevalgano, la proiezione nell’avvenire, i processi creativi e la speranza.
Il bacio, il contatto libidico, può finalmente vivificarsi, tornare, dopo essere stato oscurato per l’intero film.
BIBLIOGRAFIA
Abbagnano, N. - Fornero, G. (1992). Filosofi e filosofie nella storia. Torino: Paravia.
De Spinoza, B. (1677). Dell’Etica. In Sarchi C. (a cura di). Milano: I. Bortolotti e C. Tipografi, 1880.
Damasio, A. (2003). Alla ricerca di Spinoza. Milano: Adelphi.
Donzelli, M. (2023). Enea, la recensione del film di Pietro Castellitto presentato in concorso al festival di Venezia. Testo disponibile al seguente link: https:// Enea Recensione (comingsoon.it)
Klein, M. (1921-58). Scritti. Torino: Boringhieri 1978.
Bion, W.R. (1962). Apprendere dall’esperienza. Roma: Armando, 2009.
Freud, S. (1912-1914). Il motivo della scelta degli scrigni, OSF, 7.
Freud, S. (1914). Introduzione al Narcisismo, OSF, 7.
Freud, S. (1920). Al di là del principio di piacere, OSF, 9.
Joseph, B. (1996). Assuefazione alla quasi morte. In Equilibrio e cambiamento psichico. Milano: Raffaello Cortina, 1996.
Malvezzi, F. (1991). Uomini e dei nell’epos classico. Roma: Società Editrice Dante Alighieri.
Matte Blanco, I. (1975). L’inconscio come insiemi infiniti. Torino: Einaudi, 1981.
Morici, D. - Ruggeri, A. (2023). Il giovane adulto: una sindrome contemporanea? Seminario della Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica il 21 dicembre 2023.
Petillo, M. (2024) Enea recensione: il film di Pietro Castellitto è un inno alla vanità. Testo disponibile al seguente link: https:// cinema.everyeye.it/articoli/recensione-enea-film-pietro-castellitto-inno-vanita-63111.html
[1]Per Matte Blanco l’essere simmetrico è caotico mentre la coscienza è ordinata. Egli scrive nel paragrafo relativo all’inconscio non rimosso e le relazioni simmetriche: «in conseguenza delle continue irruzioni dell’Es, l’organizzazione dell’Io (corsivo mio) è danneggiata (…), è dilaniato da aspirazioni contrastanti» (1981, 97).
[2]Nel proemio dell’Eneide, al verso conclusivo (tantae molis erat Romanam condere gentem), si esprime la costanza e la fermezza dello spirito romano, capace di resistere con tenacia a forze avverse (Malvezzi, 1991).