GIURITA ZOENA. "UN AMORE AD AUSCHWITZ. EDEK E MALA: UNA STORIA VERA" DI FRANCESCA PACI
GIORNO DELLA MEMORIA 2025

"Un amore ad Auschwitz. Edek e Mala: una storia vera" di Francesca Paci
Recensione di Giurita Zoena
“[...] nell’evoluzione dell’intera umanità
solo l’amore ha agito come fattore d’incivilimento
trasformando l’egoismo in altruismo”.
S. Freud
Incontrare per la prima volta questo testo mi ha indotto a vivere sentimenti contrastanti di curiosità e sconcerto: il suo titolo aveva focalizzato la mia attenzione tanto da spingere la mia mente a credere che la trama si snodasse interamente attorno alla relazione d’amore tra i due protagonisti. Il mio pensiero si è soffermato ad evocare il loro legame intimo, intessuto di affetto e tenerezza, portandomi a cogliere ancora di più il suo significato profondo e deflagrante, se consideriamo la crudeltà del contesto in cui era collocato.
Se quindi era già un’esperienza rivoluzionaria leggere di una storia d’amore in un lager, figuriamoci quanto possa essere stato sconcertante rendersi conto, pagina dopo pagina, che quello che mi ritrovavo tra le mani in realtà non era un libro d’amore bensì un libro sull’amore. E’ stato allora che i miei pensieri hanno iniziato a giocare con le parole e ben presto “Un amore ad Auschwitz” è diventato per me “L’amore ad Auschwitz”.
Penso che definire l’amore sia una delle esperienze più complesse in cui si sia cimentato l’essere umano per secoli e per questo è molto difficoltoso discuterne in termini prettamente teorici. Se invece lasciamo parlare i gesti, le scelte, le circostanze, ci rendiamo conto quasi subito che questo testo è permeato di un sottofondo affettivo attraverso il quale pulsa una forza vitale sorprendentemente forte. L’amore, come appunto potremmo chiamarla, non è però quello erotico o quello della gioiosa amicizia, ma si presenta proprio in quella forma disinteressata e smisurata che plasma l’essere umano ed estrinseca il vissuto soggettivo di sentirsi parte di un tutto, rafforzando la capacità di tessere e preservare i legami per proteggere in tutto e per tutto la vita.
Questo testo mette ciascun lettore di fronte a numerosi interrogativi, ai quali è difficile sottrarsi dal momento che vanno a scuotere in profondità le nostre radici e le peculiarità delle nostre esistenze, singole e collettive. Di fronte alla voragine traumatica a cui espone la persecuzione, la deportazione, la disumanizzazione e infine l’assassinio di massa, in che termini si può parlare di amore o di legami? Quando la psiche e il corpo sono così duramente spezzati e provati che cosa si può ricucire per non perdere il contatto con l’Altro?
L’amore narrato, lontano anche dall’essere di matrice morale o religiosa, sgorga dal primario desiderio della vita che vuole vivere, è un vissuto che va ben oltre l’istinto di sopravvivenza perché dà forza e corpo al bisogno profondo di rimanere umani, di conservare quella continuità con se stessi e con il proprio sentire che ci accomuna a tutti gli individui della nostra specie, con l’intento di sopra-vivere per donare speranza e memoria al futuro.
Protagonista di questa narrazione è Malka Zimetbaum, una giovane donna ebrea polacca, emigrata a 10 anni insieme a tutta la famiglia ad Anversa; la sua storia non è molto conosciuta, a differenza invece di tante altre, come per esempio quella della piccola Anne Frank. Di lei sappiamo davvero poco, Primo Levi la cita nel suo libro “I sommersi e i salvati”, ricordandola come una donna generosa e coraggiosa, che aveva aiutato moltissime persone e per questo è stata molto amata. La storia d’amore di Malka (soprannominata Mala) con Edward Galiński, conosciuto da tutti come Edek, è anche menzionata nel libro di Wiesław Kielar “Anus mundi”, tuttavia a parte una targa sulla casa in cui ha vissuto nella città di Anversa, non vi sono altre iniziative che ne commemorino e celebrino il ricordo.
La giornalista e scrittrice Francesca Paci in questo bellissimo testo del 2016 partendo dalla storia d’amore che Mala, deportata ad Auschwitz-Birkenau nel 1942, vive insieme ad Edek, anch’egli internato nel lager dal 1940 come prigioniero politico polacco, ripercorre l’intera vita della donna, ricostruendola con pazienza e con dovizia di particolari attraverso le testimonianze dei sopravvissuti che l’hanno conosciuta.
Il profilo che emerge è incredibile: dalle parole della Paci si delinea infatti una personalità intelligente e tenace, capace fin dal suo ingresso nel campo di sterminio di mettersi in contatto con la propria interiorità e di aderire all’imperativo etico di dover andar avanti senza esitazione perché fermarsi avrebbe significato soccombere. Mala aveva guadagnato un posto di rilevo nel lager grazie alla fluente conoscenza del fiammingo, dell’inglese, del francese, del tedesco, del polacco e dello yiddish, senza tuttavia mai approfittarne: ella viene ricordata come una “forza tranquilla”, una donna elegante che faceva mille cose pur trovando sempre il tempo di aiutare le altre compagne.
I gesti che Mala compie sono di potente gentilezza e nel contempo disarmante semplicità: poteva procurare un bottone a qualcuna, recuperare un vestito, donare una spazzola, rintracciare un parente. A volte riusciva anche a trovare una medicina o a spostare le prigioniere ricoverate in infermeria poco prima che fossero mandate al gas. La deflagrante portata dei suoi piccoli gesti ha fatto in modo che la donna fosse ricordata come la “luce di Birkenau”. Ella infatti, potendo godere della libertà di muoversi all’interno del campo femminile ed anche fuori, familiarizzava con i detenuti, conoscendoli e riconoscendoli nei loro bisogni, per aiutarli come poteva.
Se solitamente la storia ci ha insegnato a pensare che la sopravvivenza delle vittime dipendeva dalla propria mutazione identitaria o dall’identificazione con l’aggressore, la Paci ci mostra come Malka Zimetbaum sia riuscita ad andare oltre la pura capacità di sopravvivere, cercando di rivolgere il sistema perverso del lager contro se stesso utilizzando gli stessi privilegi offerti dalla propria posizione. Sappiamo che Mala non si faceva illusioni, come ricordano molte testimoni era consapevole di essere anch’ella destinata alla camera a gas non appena il suo servizio non fosse stato più utile; nel frattempo, radicato nella sua etica, si andava definendo l’organizzazione di un sostegno collettivo: questo era il suo modo di resistere alla disumanizazione di Auschwitz.
Potremmo forse dire che questa modalità di funzionamento si ergesse un po’ come uno scudo protettivo, come barriera anti-stimolo, che tentava di tenere a bada l’irruzione traumatica che proveniva sia dal mondo interno che da quello esterno: in questo senso le pulsioni vitali potevano almeno in parte riuscire a controllare la violenza e la distruttività mortifera, da cui le prigioniere erano circondate, e il vissuto di annichilimento che albergava dentro di loro.
Essere organizzate in una collettività e praticare il mutuo soccorso aveva lo scopo di risollevare il morale delle donne internate affinché tollerassero le bestiali condizioni del lager e l’alimentazione miserabile. La sopravvivenza di molte è dipesa anche da questo fattore, e infatti in questa ottica diventa chiaro che i gesti di Mala, con cui risolveva piccoli e grandi problemi, non hanno certamente cambiato le sorti della storia, ma hanno senz’altro fatto qualcosa di più straordinario: hanno dato senso e spessore alla vita di molte persone.
Tuttavia il costante vissuto terrifico di paura e il senso di morte che aleggiava nel lager, ricordano le testimoni, hanno lentamente creato una vasta breccia nella barriera protettiva di Mala. Con il passare dei mesi, dunque, nonostante tutto il suo operato e l’affetto che riceveva in cambio, la luce nei suoi occhi si spegne giorno dopo giorno, è segnata dalla fame, dalla malattia, e l’esposizione continuativa al dolore fisico e psichico la turba, la cambia. Ed è proprio in questo delicato periodo di transizione che avviene l’incontro nel lager con Edek, mentre lentamente la depressione strisciante lascia il posto alla rinascita. La donna attraversa un momento di rivivificazione così vistosa che molte prigioniere lo ricordano vividamente insieme alle dolci parole che Mala pronunciava quando diceva di sentirsi innamorata e felice.
L’amore, quindi, per continuare a vivere e un amore per tornare a vivere, ecco il miracolo che Mala sperimenta. Eppure quanto è stato difficile per lei godere di questa gioia: sappiamo bene quanto nell’inferno del lager possa essere stato doloroso e difficile vivere un’opportunità come questa, molti, infatti, testimoniano che chi tra le vittime è riuscito ad andare oltre l’istinto di sopravvivenza, a ritagliarsi momenti di tranquillità o benessere, abbia poi sigillato questi ricordi a causa dei sentimenti di colpa e di pudore nel timore che sminuissero l’abisso dello sterminio.
Ma é in questa vivificata esistenza che Mala ed Edek progettano la loro fuga tra incertezze, paure e pericoli: due ventenni che hanno visto l’abisso inghiottire i propri cari, l’umanità e infine la vita intera, volevano uscirne mano nella mano. E ci sono riusciti. Per tredici giorni. Solo tredici lunghi giorni prima di essere trovati, nuovamente catturati e giustiziati in modo esemplare come monito per gli altri prigionieri.
La fuga di Mala ed Edek è piena di amore: amore reciproco, amore per la patria che li aveva motivati a raggiungere la resistenza per unirsi ai combattenti, amore per i compagni e le compagne internati. Sì, perché l’ossessione di Mala, dal suo primo giorno nel lager, era informare il mondo, far conoscere a tutti Auschwitz, ingenuamente convinta che se il mondo avesse saputo, sarebbe intervenuto a distruggere la macchina della morte. Noi che conosciamo la triste verità del mondo che sapeva e che non ha potuto o voluto fare nulla, possiamo comprendere il trepidante e imperante desiderio di libertà proprio perché per Mala era inconcepibile che qualcuno fosse al corrente della soluzione finale senza muovere un dito.
Quella fuga, che per i nazisti ha rappresentato un’onta senza misura, poiché una prigioniera privilegiata si era presa gioco dei suoi stessi aguzzini, per le vittime è stata vissuta come una rivincita. La psicoanalisi sa bene quanto le relazioni d’amore costituiscano l’essenza della psiche collettiva e che l’identificazione è la prima manifestazione del legame emotivo con un’altra persona, per cui in questa ottica l’identificazione con Mala, invece che sconcertare e demotivare le altre compagne internate, nutre le loro pulsioni vitali e il sentimento di comunità, facendole anche sentire unite nei vissuti ostili verso i persecutori.
Per tutte loro, nonostante il tragico epilogo, il lascito ricevuto da Malka Zimetbaun è stato estremamente importante e in taluni casi ha salvato la vita a molte. Come ricorda Hannah Arendt citando Kant, la capacità di pensare si regge sugli esempi: è dunque il pensiero esemplare che, diventando rappresentativo del particolare, ci orienta quando è impossibile trovare un gancio in teorie o in discorsi generali. Mala per questo è stata un faro. E se per Spinoza il bene è ciò che aiuta l’uomo ad avvicinarsi al suo proprio modello e alla realizzazione del proprio poter-essere, Mala, questa donna straordinaria, ha compiuto pienamente la propria esistenza, ergendosi a modello anche per gli altri, nel dare e ricevere speranza. Speranza di sopravvivere e raccontare, raccontare per ricordare, ricordare per non ripetere.
BIBLIOGRAFIA
ARENDT H. (1966) Alcune questioni di filosofia morale. Einaudi, Torino, 2015;
FREUD S. (1920) Al di là del principio di piacere. OSF 9, Boringhieri, Torino, 1980;
FREUD S. (1921) Psicologia delle masse e analisi dell’Io. OSF 9, Boringhieri, Torino, 1980;
SPINOZA B. (1677) Etica. Boringhieri, Torino, 2021.