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Giurita Zoena. L’antisemitismo e le sue metamorfosi. Distorsione della Shoah, odio on line e complottismi

Quando nella vetrina della libreria ho adocchiato questo titolo “L’antisemitismo e le sue metamorfosi. Distorsione della Shoah, odio on line e complottismi”, a cura di Milena Santerini ed edito da Giuntina, il mio pensiero si è soffermato immediatamente sulla parola <<metamorfosi>> e la mente è volata indietro negli anni, alle lezioni di letteratura e fisolofia. Ho immaginato che per scegliere questo termine i coautori volessero accuratamente soffermarsi sul significato profondo delle modificazioni e trasformazioni di questo fenomeno, per indurre il lettore ad abbracciare l’ipotesi che l’antisemitismo, così come lo abbiamo conosciuto, probabilmente non esiste più e aiutarlo ad aprire uno spazio di pensiero che includa una visione nuova e ancora poco conosciuta.

Effettivamente il termine metamorfosi indica per la precisione un cambiamento strutturale e funzionale di un soggetto, un fenomeno oppure un evento, che in taluni casi può addirittura provocarne l’alterazione della natura stessa. Allora come non pensare all’accezione kafkiana, che costruisce la centralità del proprio nucleo intorno all’alienazione dell’uomo moderno abbrutito, isolato e incapace di comunicare con se stesso e i propri simili? Come non ricordare che la tradizione di testi aventi come epicentro il concetto di metamorfosi ha origini molto antiche e ne sono esempio i componimenti di Ovidio e Apuleio, che poeticamente ripercorrono il processo di caduta, sofferenza e redenzione dei protagonisti? E ancora come non ricondurre alcune correnti del pensiero filosofico moderno alla riflessione sul percorso ascendente dell’essere umano proteso verso la libertà, simbolo del raggiungimento di una matura coscienza di sé e un’espansione della capacità creativa?

Alla luce di queste riflessioni mi sono domandata come si dovesse intendere la o piuttosto le metamorfosi dell’antisemitismo: era chiaro che più andavo avanti nella lettura e più si delineava un’accezione fortemente negativa del termine, anche se non strettamente nel significato di una involuzione. Ma allora di fronte a quali cambiamenti ci troviamo davanti? La curiosità è stata presto soddisfatta perché devo riconoscere che la stesura di questa raccolta di saggi, scritti da diversi studiosi attenti osservatori del fenomeno, arriva dritta al cuore della questione senza indugiare. Il quadro che si delinea ci mostra che  le metamorfosi dell’antisemitismo  danno l’impressione di avere molto a che fare con il travestitismo e il camuffamento, tanto da presentarsi ad un occhio più distratto come atteggiamenti e comportamenti che non risultano immediatemente riconducibili al fenomeno in questione.

Una di queste forme è il tentativo, da parte di gruppi o singoli individui, di “voler giustificare l’imperdonabile”. Quanta immediatezza rappresentazionale in questa espressione e quanta carica affettiva, che non ha neanche troppo bisogno di essere esplicitata! Possiamo renderci conto della portata trasformativa del fenomeno e apprendiamo che, come spiegano abilmente gli autori, ci troviamo di fronte a un antisemitismo post-raziale, così definito perchè la centralità del concetto di razza è stata messa in secondo piano per lasciare posto ad altri fenomeni postmoderni che sono appunto la banalizzazione della Shoah, la disumanizzazione delle vittime e il giustificazionismo. I panni vestiti dall’antisemitismo sono dunque quelli della revisione storica, la quale ridimensiona in modo falso e arbitrario i numeri delle vittime della Shoah e deresponsabilizza le nazioni che collaborarono con il regime nazi-fascista puntando il dito esclusivamente contro un solo Paese, la Germania.

Questa forma subdola, insieme a quella dell’odio on line che costruisce complotti per cercare colpevoli e che viene giustificato in quanto black humor, non solo banalizza il problema e la sofferenza delle vittime, ma addirittura svilisce completamente la carica di distruttività aggressiva del fenomeno. Se infatti vogliamo considerare che proprio scherzando, si può dire tutto, anche la verità (S. Freud, 1905), ci rendiamo conto di quanto sia pericolosa la minaccia costante addotta da queste nuove modalità. La pericolosità più grande è proprio quella determinata dal non saper riconoscere il problema e di sottovalutare forme di odio fatte passare per azioni innocue, agiti che invece veicolano distruttività e attaccano il pensiero e i legami.
Si è affacciato allora nella mia mente un nuovo interrogativo. Come si può riuscire a identificare questo antisemtismo mutaforma? In una società destrutturata, consumistica e conformista come quella in cui siamo immersi, dove è più semplice tracciare confini geografici che quelli di un nucleo soggettivante, si corre il rischio ancora una volta di semplificare il male e di asservire la nostra soggettività, le nostre spinte pulsionali erotiche e relazionali all’omologazione e al non-pensiero. Siamo di fronte a una metamorfosi che non è una semplice mutazione, bensì una sorta di zelig, prototipo di un trasformismo irriflesso che si allontana dalla forma originaria per nascondersi, farci perdere l’orientamento e distogliere l’attenzione finché non perdiamo le coordinate e non siamo più capaci di attribuire il giusto senso e il giusto peso a ciò che accade, come succede ad esempio nel caso dell’antisemitismo travestito da antisionismo.

È solo la memoria, quindi, che può fungere da faro e da spartiacque, memoria intesa non soltanto come rievocazione di ciò che è stato ma anche e soprattutto come promemoria critico e acquisizione di responsabilità. Il Giorno della Memoria vuole ricordare lo sterminio degli ebrei europei e nordafricani avvenuto in casa nostra e ha il compito quindi di stimolare il nostro coinvolgimento affinchè nessuno possa sottrarsi agli oneri dell’etica e della coscienza.
Fare questo non è possibile se svendiamo ciò che è successo e ciò che succede oggi, se ci rifugiamo nei meccanismi di non-pensiero, incapaci di direzionare e contenere la pulsionalità aggressiva. Questo processo non può avvenire se non lasciamo che la memoria ci attraversi e ci faccia percepire come soggetti proattivi e determinanti, che possono con le proprie scelte avere incidenza sugli avvenimenti e il corso della storia.

Quello che nel testo ho trovato interessante è l’aver denominato quasi sempre le vittime della Shoah come “i nostri vicini ebrei”, i nostri vicini di casa appunto, i colleghi, gli amici, i compagni di classe. Quindi non qualcuno che si trova dall’altra parte del mondo e che non conosciamo, ma cittadini europei che l’Europa non ha saputo difendere.
È doloroso pensare e rievocare che carnefici e vittime della Shoah siano stati i nostri padri e le nostre madri, i nostri nonni, gli zii, o qualcuno che ad ogni modo ci appartiene; è doloroso perché non ha sicuramente la stessa portata di eventi simili che accadono lontano da noi e con i quali non c’è legame. Per questo la memoria restituisce dignità alle vittime e a noi che ricordiamo, impedendoci di destrutturarci e diventare dei mutaforma. La memoria crea relazioni, la memoria attiva il pensiero. La memoria è il contenuto ma è anche il contenitore che ci tiene e ci dà forma.

Concludo con le parole di Elie Wiesel pronunciate al Congresso americano del 30 aprile 2003: “La memoria ha la sua lingua, la sua tessitura, la sua segreta melodia, la sua archeologia e le sue limitazioni; essa può anche essere ferita, rubata, svergognata; ma sta a noi salvarla e impedire che venga svenduta, banalizzata e resa sterile”[1].

 

Bibliografia

Abbagnano N., Fornero G. “Storia della filosofia”. Tea, Milano, 1995;
Arendt H. (1963) “La banalità del male”. Feltrinelli, Milano, 2019;
Bettini M. (a cura di) “La letteratura latina. Storia letteraria e  antropologica romana”. La nuova Italia, Firenze, 1999;
Freud S. (1905) “Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio”. OSF, vol 5, Boringhieri, Torino, 1980;
Freud S. (1920) “Al di là del principio di piacere”. OSF, vol 9, Boringhieri, Torino, 1980;
Kafka F. (1915) “La metamorfosi”. Einaudi, Milano, 2014;
Rossi L. E. “Letteratura greca”. Le Monnier, Firenze, 1998;
Santerini M. (2021) “La mente ostile. Forme dell’odio contemporaneo”. Cortina, Milano, 2021;
Santerini M. (2023) “L’antisemitismo e le sue metamorfosi, Distorsione della Shoah, odio on line e complottisti”. Giuntina, Firenze, 2023.

[1] Wiesel E. (2003) in “L’antisemitismo e le sue metamorfosi, Distorsione della Shoah, odio on line e complottisti”, a cura di Milena Santerini. Giuntina, Firenze, 2023, pag. 66.

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