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Silvia Longo. Perché non mi rispondi? Psicologia e psicopatologia dei contatti frequenti con il cellulare di Giuseppe Riggi et al.

Giuseppe Riggi, Michele Porceddu, Francesco Rizzo, Perché non mi rispondi? Psicologia e psicopatologia dei contatti frequenti con il cellulare, Inedit, Bologna, 2018, pp. 124, Є 9,90

“Io credo che voi non capiate davvero come funziona il cellulare e quanto influenzi la vita dei nostri figli” mi dice una madre arrabbiata e disperata la cui figlia adolescente è stata recentemente presa in carico da una collega per problemi di dipendenza e uso patologico dello smartphone, apparecchio di cui i nonni l’avevano entusiasticamente dotata dall’età di nove anni. Con la mente corro in cerca di aiuto al libro di Riggi, Porceddu e Rizzo Perché non mi rispondi? e provo una certa riconoscenza per questi autori che con grande umiltà, serietà, e con ancor più grande competenza mi hanno reso fruibili concetti analitici atti a comprendere questa nuova forma di malessere, e proprio attraverso tali strumenti soppeso le parole della mia paziente. Questo libro consente infatti una visione al tempo stesso dettagliata e d’insieme dei processi psicologici e psicopatologici che si articolano e si sostanziano attraverso l’uso dello smartphone e fa toccare con mano il rischio di sottovalutarne la portata senza al tempo stesso illudere troppo di poterla afferrare appieno. Colpisce e conforta come gli autori riescano, con spirito divulgativo, ad utilizzare agilmente e rendere accessibili e attuali un corredo sostanzioso di concetti nati dal pensiero di Freud, Rank, Winnicott, e poi Racamier, Anzieu, Matte Blanco, Tustin, Gaddini fino al più  contemporaneo e mediatico Recalcati. Il tutto per spiegare un fenomeno che per gran parte della storia del pensiero psicoanalitico non è neanche lontanamente esistito.

Giuseppe Riggi parte nel primo capitolo da una riflessione in chiave storica (ironicamente raffigurata nella copertina del libro) e arriva a dimostrare come i nuovi mezzi di comunicazione riflettano e producano una altrettanto nuova compulsione alla prossimità che si articola, spiega l’autore, in uno spazio fatto di telepresenze sempre più elaboratamente costruite dove l’altro, che non è mai fuori portata, è al tempo stesso meno reale, dove il parlante può esercitare attraverso gli emoticon un controllo assoluto delle informa- zioni da veicolare indipendentemente dal proprio stato emotivo effettivo e dove al tempo stesso il desiderio dell’altro di ricevere comunicazioni può essere messo tra parentesi. Riggi dimostra, attraverso argomentazioni parallele, che includono un interessante assimilazione del telefonino all’oggetto autistico della Tustin, come nelle comunicazioni mediate dalle nuove funzioni degli smartphone lo statuto dell’oggetto come altro da sé venga eroso fino alla dissolvenza dei confini stessi fra soggetto e oggetto.

Se nel primo capitolo leggiamo di come la comunicazione si sia evoluta dalla preistoria e di come tale evoluzione si sia intrecciata con lo sviluppo intra e interpersonale, nel secondo capitolo Michele Porceddu parte dalle origini della vita individuale, l’ambiente intrauterino: un paradiso dal quale la nostra venuta al mondo ci separa per sempre. Strano, verrebbe da dire, pensare alla vita nella pancia della mamma e al trauma della nascita quando l’argomentazione riguarda comunicazioni WhatsApp. E invece no, il senso profondo di questa riflessione sulla “caduta dell’onnipotenza” dietro alla quale stanno senza invadere il campo i contributi essenziali di Grunberger e Kohut, porta a comprendere con chiarezza come il tentativo di mantenere un senso di completezza e di omeostasi passi di questi tempi proprio attraverso quell’oggetto autistico (a cui Riggi fa riferimento come moderna e potenziata lampada di Aladino) dal quale raramente, e solo per breve tempo, riusciamo a separarci. Anche qui il punto di approdo è il medesimo, la relazione con l’oggetto altro da sé mediata dallo smartphone diventa una relazione dove la consapevolezza della separatezza dall’altro risulta sfuocata: esigiamo una risposta immediata, abbiamo ceduto all’illusione che l’altro sia immediatamente e ubiquitariamente da noi raggiungibile; e allora: perché non mi risponde?

La possibilità di un esito violento di tali processi psicologici si intravede chiaramente già in questi primi due capitoli attraverso i riferimenti alla messa tra parentesi del bisogno dell’altro, alla disinibizione stimolata dal potenziale anonimato della telepresenza e all’attivazione di aree di funzionamento primitive in cui l’esperienza tende verso intensità infinite. Nel terzo capitolo, di Francesco Rizzo, non stupiscono più, quindi, le casistiche dei fenomeni di cyberbullismo, revenge porn e stalking mediati dallo smartphone, la simpatia per il quale, devo dire, diminuisce via via con il procedere della lettura lasciando spazio ad un certo smarrimento non privo di fascino di fronte alla grandezza del fenomeno. Rizzo inquadra la violenza che si avvale dell’uso del cellulare all’interno del già delineato quadro di erosione progressiva dei confini intersoggettivi e del crollo, si potrebbe dire, dello statuto dell’altro, travolto dall’assenza di salvaguardia paterna. Il padre post-moderno, il terzo, non è più tale, forse proprio perché come afferma quest’autore è troppo impegnato nella ricerca di consensi e di like, tanto quanto i suoi figli, ed è di- ventato, come cantava Giorgio Gaber già nel 1978, “una presenza con pochissimo spessore che non lascia la sua traccia”. Si intreccia a questo discorso la riflessione di Rizzo su come un’altra erosione, quella dell’ordine del simbolico, sottenda non solo la scarica immediata della frustrazione e la sostituzione del pensiero con l’azione, ma anche la ricerca compulsiva di oggetti-droga che nella loro presenza infinita, o telepresenza, incarnano una pericolosa assenza.

Dovendo muovere una critica a questo breve volume scritto a sei mani direi che dura troppo poco: un centinaio di pagine che lasciano oltre al pia- cere di una lettura agile, densa e brillante, il desiderio di leggere ancora.

Silvia Longo*

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