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S. CIRILLO, S. SALVANESCHI. IL CORAGGIO DI NON ESSERE UN DURO

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Nel brano “Volevo essere un duro”, Lucio Corsi ci introduce in un viaggio interiore che rievoca uno dei conflitti con cui molti di noi – più o meno consapevolmente – si ritrovano a confrontarsi: il conflitto tra il Sé autentico e l’immagine di ciò che dovremmo essere secondo le aspettative esterne. Il titolo della canzone richiama al desiderio dell’artista di aderire ad un modello costruitosi attraverso le generazioni, quello del “duro”, dell’invulnerabilità e forza. Un modello – e un mondo – in cui non sembra esserci spazio né per la fragilità, né per per la diversità. Ci si chiede, prima di ascoltare attentamente le parole dell’artista, quale sia il costo di un Io ideale di questo tipo. Un Io ideale che non solo richiama a tutte le aspettative sociali, familiari, ma che necessariamente permette il riecheggiare del concetto freudiano dell’Idealich des Ich (l’ideale dell’Io), di quella voce interiore che suggerisce come dovremmo essere per essere riconosciuti, validati, amati. L’ideale dell’Io, interiorizzato a partire dalle figure genitoriali, funge da metro severo con cui l’Io si misura, generando spesso colpa, frustrazione. Ciò che traspare dalle parole di Lucio Corsi è che quell’ideale non è solo irraggiungibile, ma soprattutto incompatibile con la sua natura.
Nel mondo descritto da Corsi, in cui noi tutti viviamo, non è raro sentire quel senso di inadeguatezza, la paura del fallimento e il bisogno di rispondere a un mandato sociale e culturale che impone una certa durezza. Un mandato che, probabilmente, si interiorizza da piccoli e che rischia di favorire quell’impalcatura difensiva che Winnicott chiamava falso Sé, costosa da un punto di vista psichico, sebbene necessaria per la sopravvivenza emotiva, poiché «la sua funzione difensiva è quella di nascondere e proteggere il vero Sé» (Winnicott, 1970). Nella parte iniziale della canzone, il vero Sé è nascosto, ma poi l’artista sembra proporre la possibilità di un riscatto: il riconoscimento graduale del vero Sé – “non sono altro che Lucio” – sfocia, alla fine della canzone, in un’accettazione profonda e, soprattutto, nel desiderio di non essere nient’altro che sé stesso.
Un percorso, quello di Lucio Corsi nella canzone, simile al delicato processo dell’analisi, il cui obiettivo non è diventare ciò che gli altri vogliono, ma riconoscere e accettare ciò che si è sempre stati, anche fragili perché, in fondo, le lune senza buche sono fregature e, se si è “nient’altro” che se stessi, la vita è un gioco da ragazzi, o quasi…
Le parole e la melodia della canzone di Corsi, ci suggeriscono un sentimento di accettazione e indulgenza verso se stessi e verso l’altro, il superamento della frustrazione e del senso di colpa a testimonianza di una crescita interiore che ha permesso il realizzarsi del vero Sè e l’allontanamento da modelli ideali precostituiti e imposti. Un percorso arduo che altri autori esprimono attraverso sentimenti di rabbia e rivendicazione, come cantano i Linkin park in “Numb”: “I’m tired of being what you want me to be” (sono stanco di essere ciò che tu vuoi che io sia).
Qui l’accento sembra essere posto sul sentimento di stanchezza, di impoverimento psichico che la persona prova quando sente che la richiesta dall’esterno è quella di essere una sorta di prolungamento narcisistico dell’Altro che non sa riconoscere l’alterità. “Numb”, che tradotto significa intorpidito, intontito, ben descrive la sensazione psico-somatica che l’Autore prova nel non potersi vivere pienamente come se stesso. Nelle parole dure rivolte all’Altro, “every step that I take is another mistake to you" (ogni passo che compio, per te è solo un altro errore) viene rimarcato il peso del giudizio che grava sulla persona che non si sente mai validata nelle proprie scelte.
Due brani profondamente diversi per stile musicale e comunicativo, ma che pongono l’accento sulla difficoltà di esistere in quanto se stessi e non come unità mente-corpo omologate e compiacenti. A spezzare le catene dell’imprigionamento psichico, può esserci solo un “NO” che si oppone alle pressioni di un mondo esterno che sembra chiederci di essere sempre felici e prestazionali, incarnati in un ideale di perfezione.
Come suggerisce il titolo scelto per questo articolo, occorrono grande coraggio e forza per riconoscere a se stessi il diritto di essere quel che si è, spogliandosi dell’armatura difensiva che come si diceva più sopra soffoca, pur volendola proteggere,  la vera essenza dell’individuo.
I testi qui esaminati, sembrano in continuità con i nostri precedenti articoli inerenti la trilogia di Marracash e il recente successo di Fedez “Battito”: la denuncia, da parte dei Cantautori di un mal-essere generato dallo scollamento tra le richieste (eccessive forse?) del mondo esterno e quelle del mondo interno che preme verso l’autenticità e il potersi vivere liberamente. Crediamo che nelle loro parole si esprima il “disagio della civiltà” odierno….voci che siamo tenuti ad ascoltare e comprendere per rimediare alla “follia” della società attuale.

Bibliografia
Freud S. (1914]. Introduzione al narcisismo, in Opere, vol.7: l’Io e l’Es e altri scritti. Torino: Bollati Boringhieri, 1977.
Winnicott D.W. (1970). Sviluppo affettivo e ambiente. Roma: Armando editore, 2013.

 

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