Matilde Elia. Maria Callas L’artista e la donna: la sua eredità 100 anni dopo
In occasione del centenario della nascita di Maria Callas, la sezione regionale Lazio-Umbria-Abruzzo della Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica (SIPP) l’8 marzo 2024 presenterà una serata dedicata al soprano che più di chiunque altro ha saputo mettere in scena la corrispondenza tra vita e palcoscenico creando un nuovo archetipo teatrale. Con la sua voce è stata capace di trasferire la sua sofferenza, le sue lotte nelle eroine che interpretava lasciando che la sua personalità le arricchisse e traendo esperienza dal suo vissuto di donna. Durante la serata verranno proposti dei brani scelti del melodramma che più rappresentano questo dualismo tra Callas l’artista, capace di incantare ed emozionare, e Maria, la donna alle prese con le mancanze d’amore.
Figlia indesiderata non vide negli occhi della madre la luce dell’amore. L’esperienza dell’esclusione nel legame significativo primario la costringe alla lotta per la conquista dello sguardo materno. Maria si accorge di avere un’arma capace di attirare a sé l’attenzione, l’ “incantesimo” che la farà sentire finalmente amata: il canto. Il suo desiderio d’amore viene esaudito dal mondo dell’opera sia attraverso l’affermazione artistica che attraverso l’immedesimazione nelle eroine d’opera. Nella finzione scenica i colori vocali tetri e armonici si impregnano dei suoi sentimenti esuberanti, si trasfigurano in verità scenica e virtuosismo vocale. Il grido della bambina non amata, attraverso l’esercizio della tecnica vocale, diventa il canto di una creatura divina che ha conosciuto il dolore umano dell’esclusione.
Maria la donna, all’apice del successo della diva, cercherà invano di colmare quel vuoto affettivo che ne ha caratterizzato l’esistenza. Suo compito sarà difendersi da chi si avvicina alla donna per amare la diva e curarsi le ferite una volta finito l’incantesimo.
La mancanza d’amore nutre la vocalità della Callas che incanta il pubblico di tutto il mondo in cambio di un abbraccio, lo stesso abbraccio che le è mancato al momento della nascita. Il suono della sua voce è intriso dei suoi sentimenti, della fame d’affetto che continua ad attanagliarla.
Anna Maria Sofia Cecilia Kalogeropoulus nacque il 2 dicembre del 1923 a New York da genitori greci. Una bellissima bambina con occhi neri e brillanti che non venne accolta dalla luce dell’amore. Per quattro giorni la madre si rifiutò di prendere Maria tra le braccia perché avrebbe voluto un maschio che prendesse il posto del figlio Vasily, morto prematuramente. La piccola è stata deprivata nelle sue prime ore di vita dell’abbraccio materno, che è il fondamento dell’esistenza stessa. Al momento della nascita il neonato vive, in uno stato di non-integrazione, una condizione di dipendenza assoluta. Come afferma Winnicott (1965) nei primissimi stati l’infante e le cure materne si appartengono reciprocamente. La madre Evangelia condusse una gravidanza molto difficile segnata dal dolore per la perdita del figlio, dalle tensioni che caratterizzavano il rapporto con il marito e dall’angoscia per il distacco dalla sua famiglia d’origine a causa dell’emigrazione negli Stati Uniti: tutto questo non fece che imprimere indelebili sentimenti di paura e angoscia al feto indifeso. Il travaglio psicologico della donna vissuto durante la gravidanza lascia ipotizzare che Maria abbia già esperito nella vita intrauterina, rifiuto e paura piuttosto che contenimento e amore.
Con la madre/maestra Elvira de Hidalgo Maria impara a muoversi sul palcoscenico senza le critiche della madre per il suo aspetto goffo, il quale portava in sé una richiesta d’amore troppe volte incompresa. Con questo nuovo sguardo la giovane soprano capisce che quel ricchissimo mondo interiore può rappresentare il suo scrigno segreto dal quale tirar fuori “gli abiti di scena” delle numerose eroine, che le consentiranno di rivivere quei sentimenti estremi con la giusta distanza e riconquistare, attraverso la fantasia, la sua infanzia negata di bambina prodigio. In diversi ambiti troviamo associate al canto le impressioni di fascino, sortilegio e pace. Il canto infatti ha il potere di tranquillizzare, rassicurare e calmare sentimenti soverchianti che assalgono e paralizzano. Anche i bambini quando hanno paura del buio, a volte, cantano per rassicurarsi perché il buio rappresenta per loro l’essere lontani dalla loro fonte di rassicurazione: la madre. Per la Callas cantare significa meritarsi di essere amata e quindi vincere la paura di riscoprirsi da sola. Quando diventerà adulta questa paura si trasformerà in ricerca smisurata di affermazione, ed è regalando “incantesimi” al pubblico che ne chiederà l’abbraccio per colmare quel suo vuoto. Anche la sua voce in quel periodo dell’adolescenza fu educata dalla de Hidalgo. La giovane Callas cantava così forte da spingere la propria voce fino al grido ma attraverso l’utilizzo di metodi di studio in voga in quegli anni riuscì ad affinare il suo “strumento” e a modellarlo secondo il ruolo che le era stato assegnato. Sicuramente questa dirompenza di suoni conteneva in sé il grido di una fanciulla strappata alla propria infanzia, alla quale si chiedeva troppo presto di diventare adulta. Imparò in poco tempo tantissime partiture, in un’intervista ricorda: “ (...) fu un eccellente esercizio di memoria (…) imparai ad esempio, opere come Norma e Gioconda ben prima di poterle cantare veramente. Così potevo provarle mentalmente, mentre andavo in autobus o camminavo per strada”. Molto lavoro si può fare solo con la mente, infatti senza aver bisogno di un pianoforte e neppure di aprire la bocca. I poeti parlano dell’”occhio della mente” ma esiste anche “un orecchio della mente” ” [1]. Imparare tutta la partitura a memoria era per la Callas una necessità dovuta dalla sua miopia e questo rendeva ancora più irreale il mondo del palcoscenico, quel suo terreno franco da ostilità e doveri, da dove, una volta usciti, si cessava di contare. La Callas utilizzò la sua ferita dell’anima come una finestra sull’interiorità, un’apertura alla trasformazione necessaria per riscrivere i personaggi femminili dell’opera. Attraverso lo spazio fisico del palcoscenico Maria riesce a riconquistare quello spazio psichico materno negatole sin dal principio, rapita dalla potenza della musica. Mario Pasi in un suo articolo afferma: “(...) Senza saperlo, ella impersonò al secolo Prometeo, ovvero il rapporto fra ribellione e punizione (…) Si avvicinò al trono di Giove. Poiché credeva nell’arte, e nella sua arte, non scese mai a compromessi. Finì però, per bruciarsi con quello stesso fuoco mitico rubato che aveva creato il suo mito” [2].
L’amore per il padre idealizzato portò la Callas a cercare nelle sue relazioni d’amore un uomo capace di guidarla, proteggerla, ma tutte le sue relazioni furono fallimentari sul piano sentimentale. Lei si comportava in amore come una bambina ingenua, incapace di distinguere l’interesse dall’affetto vero e proprio, l’uomo reale e quello fantasticato. Passò così dal marito/impresario più vecchio di lei di trent’anni ad altre confusioni amorose, come quella con Luchino Visconti che fu l’incontro più importante della sua vita. Fu proprio lo sguardo di Visconti a renderla eterea, elegante e trasformarla in una grande attrice tragica sul palco dell’opera. Famigerata la scena della Traviata, con la regia di Visconti, dove la Callas nel ruolo di Violetta lancia via le scarpe cantando il Sempre libera dopo la festa mondana per ritrovarsi da sola con la sua solitudine, lontana dalle costrizioni della società. Visconti divenne per la Callas il suo Pigmaglione, capì che dietro il suo carattere forte nascondeva la sua vulnerabilità e la sua costante ricerca di affetto e protezione, così plasmò ogni suo gesto, ogni sua espressione, ma soprattutto creò in lei la consapevolezza della sua bellezza e della sua eleganza: ne venne fuori una donna completamente trasformata.
Ed è proprio quando raggiunge l’apice del successo che la Callas incontra la sua illusione fatale, il padre greco sempre sognato: Onassis. In pochissimo tempo lei divorzia dal marito e sogna di sposare il suo Ari per poter finalmente avere una famiglia, dei figli, perché una donna senza figli per Maria è una donna a metà. Finalmente Maria, la donna, sperimenta il suo incontro con il maschile. Come Persefone viene rapita dal suo Onassis che la rende prigioniera del suo regno, sedotta dall’ignoto e costretta a muoversi in un mondo sotterraneo e sconosciuto. Prima di allora la Callas non aveva mai conosciuto l’amore fisico. Prima di essere rapita Persefone era una donna-bambina, ignara delle proprie attrattive sessuali e della propria bellezza, incapace di concepire la forza dell’eros. Sperimenterà a caro prezzo la disillusione di un uomo infimo che tradirà le sue aspettative per interesse sposando Jackie Kennedy che, ironia della sorte, porta il nome della sorella maggiore con la quale ha dovuto sempre contendersi l’amore materno.
Alla fine della sua carriera lirica Maria incontra sulla sua strada un altro amore confuso e non ricambiato, quello per Pier Paolo Pasolini che le offrirà la sua amicizia e tenerezza. Il poeta regalerà a Maria una bellissima raccolta di poesie dal titolo Canzoniere per una donna di nome Maria. Forse con il poeta friulano si ripetè per Maria quanto era successo con Luchino Visconti: la vicinanza di un uomo con una sensibilità e una ricettività, caratteristiche di una persona creativa capace di generare arte. Il contatto con l’Anima di Pasolini (la sua componente femminile creativa) causò in Maria una strana attrazione verso l’uomo. Si affidò a lui, ne seguì ogni consiglio, accettò suggerimenti sull’interpretazione di sentimenti che lei conosceva meglio di chiunque altro per interpretare Medea, la semidea greca tradita dal suo Giasone per una donna più giovane. Nel rapporto con Pasolini alternò momenti in cui si proponeva come madre e momenti in cui si proponeva come una bambina in cerca d’amore. Nei versi delle sue poesie, Pasolini parla dell’angoscia del silenzio che ha trovato in Maria Callas, della nostalgia del padre che lei cerca in lui, del “vuoto cosmico” che la donna chiede di riempire, affermando che invece è proprio da quel vuoto che deriva il suo canto siderale.
In conclusione Maria Callas percorre il suo lungo cammino sola e impaurita come una bambina, fingendosi forte e austera. Insegna il canto alla sua ombra impregnandola della sua ricchezza interiore. La difficoltà ad accettare il compromesso del non amore le farà indossare gli abiti delle eroine dell’opera per rifugiarsi in un’altra dimensione dove la donna può vivere i suoi amori e sperimentare il dolore in una finzione, ma la sua vita sarà tragica allo stesso modo. In una delle sue ultime interviste afferma che lei ha scritto la sua autobiografia incidendola nei dischi attraverso la musica e i ruoli che ha interpretato. E’ tutto lì senza filtri e con tutto il dolore messo a disposizione della sua Madre divina: la Musica.
Bibliografia
Allegri, R & R, 1997, Callas by Callas, Mondadori, Milano;
Allegri, R., 1991, La vera storia di Maria Callas, Mondadori, Milano;
Baccolini, L., La nostra Callas in Classic Voice, num. 292, Settembre 2023;
Bolen, J.S., 1984, Le dee dentro la donna, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1991;
Carotenuto, A., 1992, Integrazione della personalità, Bompiani, Milano;
De la Rocheterie, J., 1984, Il corpo nei sogni, Bompiani, Milano 2001;
Gastel Chiarelli, C., 1981, Maria Callas, Marsilio Venezia 1995;
Jung, C. G., 1929-1957, Commento al “segreto del fiore d’oro”. In “Opere”, vol. 16. Boringhieri, Torino 1981;
Pasi, M., Si consumò nel fuoco di Prometeo in Musica & Arte. Quaderni del Museo Teatrale alla Scala, num. 4, ottobre 1996;
Petsalis-Diomidis N., 2001, The unknown Callas, Amadeus Press;
Winnicott D., 1965, Una nuova luce sul pensiero infantile, in Esplorazioni psicoanalitiche, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995.
[1] Petsalis-Diomidis N., 2001, The unknown Callas, Amadeus Press, p.95
[2] Pasi, M., Si consumò nel fuoco di Prometeo in Musica & Arte. Quaderni del Museo Teatrale alla Scala, num. 4, ottobre 1996, p. 12-13