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V. Bonaminio. Convegno “Integrazione e spazio clinico: Winnicott oggi” 2017. Notare, Capire e Interpretare

Relazione presentata al convegno:

Integrazione e spazio clinico: Winnicott oggi. Prato, 23 settembre 2017.

Il Convegno è stato organizzato dalle Associazioni:
Associazione Fiorentina di Psicoterapia Psicoanalitica - Centro Psicoanalitico di Firenze - Società Psicoanalitica Italiana - Centro Studi Marta Harris - Associazione Marta Harris - Psicoterapia Psicoanalitica Infanzia Adolescenza - Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica - Opera Santa Rita (ONLUS)

 

 

 

NOTARE, CAPIRE e INTERPRETARE

La pazzia della madre che appare nel materiale clinico come fattore ego-alieno

 di Vincenzo Bonaminio

 

[il testo di Winnicott è in nero, i commenti del dott. Bonaminio in blu]

 

 

 

Così esordisce Winnicott: “In un mio recente caso l’improvvisa intrusione di materiale «estraneo» dovette essere notata, capita e interpretata.”

Si noti subito per intanto il significato epistemologico, oltre che tecnico, della sequenza “notare, capire, interpretare” La velocità con cui Winnicott, in modo fulmineo, condensa i processi conoscitivi (epistemologici) dell’analista che transitano dentro di lui fino all’interpretazione per raggiungere il paziente, riassume, per me in modo mirabile, l’essenza del processo psicoanalitico osservato dal vertice dell’epistemologia del caso.
Aggiungerei a queste riflessioni quella sull’insistenza sul verbo non optativo, ma “imperativo” che ci dice molto, a mio avviso, del “compito e della responsabilità dell’analista di fronte al paziente.

Il paziente era un bambino di sei anni che mi fu inviato perché non riusciva a usare la sua brillante intelligenza e invece mordeva fino a romperli i guanti, il cappotto, la cravatta e il maglione e defecava solo in un vaso vicino a quello dei genitori. Inoltre esigeva una routine piuttosto rigida e mangiava solo alcuni tipi di cibi.

Non è necessaria in questa sede una descrizione dettagliata del caso, perché qui ho solo l’obbiettivo limitato di descrivere il colloquio terapeutico con il bambino l’unica volta che lo vidi.

Winnicott rinuncia alla descrizione del caso per motivi di tempo e spazio ma ci dice contemporaneamente che la storia del caso è nel background ed è tenuta in gran conto: è l’ossatura di ciò che si può percepire nel qui e ora della relazione.

Il colloquio ebbe effetto positivo perché riuscii a distinguere la confusione della mente del bambino dalla confusione che era stata introdotta nella sua vita da alcune caratteristiche della madre. Il lettore può dare per scontato che questo figlio unico era molto amato dai genitori e che la famiglia non era a rischio di rottura. Il padre era un professionista e la madre aveva un diploma di insegnante.
Per avere un quadro utile della seduta devo chiedere al lettore di seguire molti dettagli che debbono essere riferiti solo perché danno continuità al materiale.

I “dettagli che danno continuità al materiale” sono l’anima del caso clinico e della narrazione di esso e Winnicott non ne trascura l’importanza ma anzi ne esalta il significato conoscitivo, sia per il lettore che è esterno alla relazione clinica, e che quindi “non sa” quello che l’analista sa, sia per l’analista stesso che non solo è immerso nella relazione con il paziente ma che contemporaneamente ne è al di fuori, è alla ricerca continua di quei particolari individuali che diano senso al “materiale” . Torna qui, nel repertorio terminologico di Winnicott, la parola materiale, che ha appunto uno spessore semantico peculiare come è felicemente illustrato in un capitolo del libro postumo “Sulla natura umana” (Human Nature) che credo sia unico, in tutta la letteratura psicoanalitica, nel trattare e nel distinguere i “vari tipi di materiale psicoterapeutico”. Motivi di tempo non mi permettono di soffermarmi oltre su questo tema winnicottiano particolarmente originale e condensato di significati.

Il bambino ed io giocammo al «gioco dello scarabocchio» insieme e fu facile per me trovare la sua capacità di apprezzare il gioco e di giocare con lui. Questo è ciò che successe durante l’esecuzione dei disegni: dopo una discussione vaga a proposito della sua casa e della sua famiglia, preparammo la carta e due matite e io cominciai con il primo scarabocchio.

1. Mio, e lui l’ha trasformato in un asino, offrendo come alternative maiale, mucca, cavallo e cane. «Ha un occhio buffo». Qui, nell’ occhio buffo abbiamo già un riferimento all’ imprevedibile.

 

 

 

 

2. Suo, dice che è una testa e io le ho dato un corpo femminile.

 

 

 

 

 

 3. Mio e lui l’ha trasformato in una buffa testa. Notate il ricorrere del tema «buffo», che ne indica il significato. Fece un riferimento a me che apparteneva alla valutazione che la madre aveva di me. Sembra che la madre possegga un mio libro e che il bambino l’abbia visto, quindi disse: «Tu scrivi bene di testa». Penso che l’elaborato scarabocchio sulla fronte si riferisse al cervello, come se fosse un ritratto di me visto attraverso gli occhi della madre. «L’uomo ha un buffo naso con tre narici. Le orecchie sono dietro e non si vedono».

 

Mi disse di altre cose che sapeva disegnare tra le quali un autobus e richiese di avere dei pastelli colorati. Mi aveva già usato per parlare dell’idea di qualcosa di buffo a proposito della mente. Io, naturalmente non feci alcuna interpretazione. Le tre narici potevano essere la follia, ma nell’area del gioco del bambino.

Si noti l’impressionante progressione di Winnicott, nell’individuare, passo dopo passo nell’esecuzione degli squiggles, l’emergere di un elemento “buffo”, “strano”. Si tratta naturalmente proprio di quella determinante pre-concettuale che orienta l’osservazione clinica, ma che rivela chiaramente anche, sul piano epistemologico, ciò che Bollas chiama la natura percettiva delle teorie e che io, più sopra, ho definito nei termini della loro “derivazione clinica”.
Cosi prosegue Winnicott nella sua stringata elencazione:

4. Qui la carta si strappò per il modo vigoroso di scarabocchiare. Sulle prime non riuscì a disegnare niente.
5. C’è una sorta di mistero in questo. L’ha disegnato lui e nell’angolo fece un segno. Il segno faceva anche parte di una M ed è un gioco di parole sul suo nome. Disse: «E’ un niente». Aveva raggiunto una difesa estrema, perché se è un niente non può essere ucciso o ferito dal peggiore dei traumi immaginabili.

 

 

 

Il processo conoscitivo di Winnicott incomincia a prendere forma: esemplare dal punto di vista della intuizione clinica è il suo farsi guidare dal quel segnetto incomprensibile al lato dello squiggle che lo porta a chiedere al bambino cosa sia. “It’s mark”, un segno, “un niente”, dice il bambino: Mark “si sente un niente”, come quel segnetto (mark) trascurabile. Una prima ipotesi interpretativa, una prima gestalt ha già preso forma, ma vari cambiamenti di direzione saranno necessari a Winnicott prima di imboccare la strada giusta; una prima ipotesi interpretativa che ha preso forma ma che attende altri sviluppi clinici, altre trasformazioni, per essere capita ed interpretata.

Seguii il tema parlandogli del disegno come di un modo per fare uscire qualcosa dalla sua testa e metterlo sulla carta.

<Seguii>, scrive Winnicott, come chi ha trovato una pista da seguire, un sentiero da percorrere perché porta da qualche parte.

Parlò del modo in cui a volte il treno deve fermarsi per far passare un rapido. Disse: «Il nostro treno è bloccato perché debbono spostare gli scambi e poi possiamo tornare».

Potremmo dire, con lo sguardo del poi che è qui, in queste parole del bambino che il materiale “alieno”, che preme dall’inconscio, incomincia a prepararsi la strada per poter sboccare fuori e fluire. Ma seguiamo Winnicott:

Qui riuscì a trattenere la matita dal cadere per terra e questo e altre piccole cose sembravano significative, e indicavano che c’era caos e non ordine nelle sue esperienze immediate.

All’insight di Winnicott del “treno bloccato” si aggiunge un ulteriore insight che mostra quasi in tempo reale l’epistemologia del caso: caos al posto dell’ordine, un altro tassello che va ad aggiungersi ai precedenti, quelli della stranezza dell’occhio, del segno che è un “niente” e appunto del treno bloccato.

Ora la matita cadde sul pavimento. Ma lui non era spaventato e si potrebbe dire che aveva trovato una posizione dalla quale guardare il treno rapido che sopraggiungeva.
A questo punto ci fu un interludio fra di noi. Usai la pausa per chiedergli dei suoi sogni. Disse: «Non so». Ora era tornato a fare il n. 4. «È una locomotiva: questa è una bella finestra. È come la finestra di una vera locomotiva, di un treno a vapore».

Piano piano prende forma nel bambino la preparazione, “la galleria” si potrebbe dire per rimanere nell’ambito ferroviario, in cui far transitare l’elemento “ego-alieno”. Winnicott ha preparato il terremo, ha aiutato a “scavare la galleria” – per rimanere all’interno della metafora ferroviaria, ma, appunto, nel farlo ha trasformato qualcosa, ha “dato forma” a qualcosa di caotico e non ancora pienamente rappresentabile e rappresentato nel bambino.

Si stava avvicinando al treno rapido traumatico che evidentemente gli ricordava sua madre. «Al Parco di Battersea c’è un treno che somiglia a un treno a vapore, ma in realtà è un diesel. Mamma pensa che sia un treno a vapore!». Continuò a parlare dei treni a vapore che vede dalla metropolitana. Guarda lo smistamento e ne ha visto uno vero un sacco di volte in diversi viaggi alla stazione Victoria, avanti e indietro.
«Ho visto sul giornale qualcosa che era andato a fuoco dall’altra parte del mondo. Non è morto nessuno; be’, non fintanto che il fuoco era piccolo».

Qui sembra di poter dire che Winnicott, in termini di epistemologia del caso, affretti i tempi, metta insieme più cose di quante il bambino non dica: se fino a quel momento ha proceduto con una certa cauta attività, rispettando un ritmo piuttosto cadenzato del bambino ma comunque “iniziato” da lui stesso, qui sembra che dia un colpo di acceleratore. Quasi che abbia fretta, lui stesso, di dar forma a ciò che ancora non è pienamente formulato. Il tempo passa, l’occasione è ora, o mai più. Come analisti non possiamo dire che non siamo sottoposti continuamente ad un simile andamento: flusso più lineare, improvvise accelerate, scalate di marcia per far risalire i giri del motore.
Prosegue Winnicott:

È un’indicazione delle immense potenzialità di pericolo — un commento sul fuoco nella locomotiva a vapore. «Oh, abbiamo dimenticato il vagoncino del carbone». E cominciò ad aggiungerlo dietro alla locomotiva; molti altri dettagli si persero a questo punto e poi improvvisamente espresse qualcosa di completamente nuovo e estraneo all’orientamento generale del materiale.

 

Arriva l’agente traumatico

 

A questo punto cominciò a comportarsi in modo del tutto diverso. Quasi non mi sembrava lo stesso bambino. Era arrivato qualcosa di nuovo che si era impossessato di lui. Questa cosa nuova aveva a che fare con il sentire un buffo rumore, un suono rimbombante. Forse veniva dal riscaldamento, una specie di suono che fa quando il gas esce. Andò ad esaminare la stufa, ma non mandava nessun odore, quindi non perdeva.
Non era possibile essere sicuri se avesse un’allucinazione o se ricordasse in termini uditivi.

Il registro della seduta si trasforma improvvisamente. Il bambino cambia passo. Dal punto di vista epistemologico potremmo chiederci se quello che Winnicott chiama il sopraggiungere dell’agente traumatico, non sia il risultato di quella pre- formulazione dell’analista che il bambino in qualche modo deve aver sentito, da inconscio ad inconscio: “c’è spazio”, - si potrebbe dire che Mark consideri - per far venir fuori “la cosa” sulla base del terreno che Winnicott ha preparato, di quell’ambiente di ascolto che fin dall’inizio, attraverso il riferimento dell’analista al “buffo” e allo “strano dell’occhio”, ha dato a Mark la sensazione che questa dimensione del bizzarro era notata, capita, accolta. Come il sopraggiungere dei vagoni della metropolitana, ancora lontani dalla stazione è pre-annunciato da una calda folata di vento, che manda in aria le cartacce sulla banchina e scompiglia i capelli dei viaggiatori in attesa, così l’arrivo dell’agente traumatico è pre-annunciato da questo disorganizzarsi della seduta, da questa improvvisa perdita di coerenza sequenziale.
Si potrebbe però anche inferire, invertendo l’ordine della direzione del vettore che è stata l’accelerazione dell’interpretazione interna di Winnicott, il suo bisogno di dar forma a qualcosa che si stava aggregando, ad aver determinato nel bambino la difesa del caos.
Sentiamo Winnicott:

Cercai di esplorare il terreno facendo un’interpretazione riguardo al sentire i genitori nella stanza accanto, al che rispose forte: «No» e disse «Era su in alto sulle colline oppure proprio alla sorgente del Tamigi».

Questo passaggio con quello che segue merita di essere letto per esteso perché ci dà una visione, in tempo reale, dei continui errori a cui l’analista è esposto e dei continui ri-aggiustamenti di tiro, anche inversioni di marcia, se vuole rimanere aderente al materiale clinico che lui stesso ha contribuito a trasformare.

Continuai con il mio tema dicendo: «Come se fosse l’inizio di Mark, una cosa che succede tra mamma e papà».
Seguì il mio tema nel tentativo di compiacermi dicendo: «Sono cominciato dentro mamma e poi sono uscito da mamma all’ospedale Non c’era rumore, bambini piangevano». Dissi: «Mi domando se c’era un rumore dentro mamma» e lui disse che aveva gli occhi chiusi così non sentiva. Io stesso ero stupito ed è probabile che io abbia perseverato con l’interpretazione di questa scena primaria come se non sapessi cosa fare. Era difficile prendere appunti del modo caotico in cui appariva il materiale. Faceva rumori che illustravano il tipo di rumori che sentiva o ricordava e sembravano comprendere la parola «no» e questo tipo di cosa si ripeté molte volte. Tutto era agitato e sconvolto. Interruppe dicendo: «Cosa fai? Scrivi altri libri?» con riferimento agli appunti che stavo prendendo. Allora scrissi «Mark» molto grande e in diversi modi. Disse: «Non è una bella scrittura, è uno sgorbio». Penso che sia stato a questo punto che il n. 4 si sia strappato mentre Mark faceva quel segno con sempre maggiore forza. Qui scoprì che aveva perso la matita.

Questo passaggio merita di essere commentato in modo particolare proprio per il suoi risvolti epistemologici nel contesto della argomentazione che sto portando avanti.
In proposito, fra le tante altre osservazioni da sottoporre all’attenzione dopo la lettura di questo scritto, si potrebbe mettere in evidenza il modo in cui Winnicott offre al bambino la sua interpretazione, preparandola dentro di sé a mano a mano che il rapporto procede, correggendola mentalmente se nuovo materiale porta in un’altra direzione, rinunciando ad una sua esplicitazione verbale se avverte che il bambino non è ancora pronto a riceverla (timing dell’interpretazione). E anche quando l’interpretazione viene proposta al bambino, non viene meno la consapevolezza di Winnicott che si tratta appunto di una proposta il cui aspetto più importante non è certo il disvelamento di una fantasia inconscia, chiusa nella sua fissità dentro il paziente, ma l’amplificazione dei significati emozionali e relazionali che essa genera nel bambino che, a sua volta, li rimanda all’analista in una circolarità semantica. Così, Winnicott usa l’espressione idiomatica «I fished around» (letteralmente «pescai intorno, qua e là») che sottolinea l’aspetto di un tentativo discreto di raggiungere il bambino con il riferimento alla scena primaria, dopo l’improvvisa irruzione in seduta dell’esperienza «pazza».
E ci segnala il significato del rimando da parte di Mark alla sua interpretazione allorquando dice che il bambino «seguì il mio tema nel tentativo di compiacermi»: un esempio questo, in vivo, anche in termini di transfert, del falso Sé la cui funzione è quella di proteggere il vero Sé dallo sfruttamento e dall’annientamento.

Sembrava un fatto significativo, sebbene per un po’ fosse passato a interessarsi a un vecchio temperino che era nella scatola delle matite. Insieme lo esaminammo e lui disse: «a me è permesso tenere un coltello». Con il temperino colpì la carta e a volte anche il tavolo e a questo punto fu fatto il danno più grave al n. 4. Più volte il foglio fu danneggiato e penso che volesse far vedere perché doveva essere “un niente” se doveva lasciar arrivare la «cosa». Anche qui c’era il tema della penetrazione che avevamo già visto all’origine di Mark.
A questo punto esplorò la scatola contenente matite e colori. «Ho una gomma?» (No) «Santo cielo!» E così via. Il gioco era quasi finito e cominciò a girare per la stanza alla ricerca di un nuovo tema. Prese qualcosa dalle tasche e se la mise nelle orecchie e sembrava legittimo immaginare che stesse affrontando i suoni allucinati e inoltre che fosse preparato ad affrontarli e avesse portato i due pezzi di carta da usare in questo senso.
Stava manifestando uno stato di confusione, ma cambiò subito argomento e parlò del terrazzo che si vedeva dalla finestra. Parlò di una storia in un giornalino a fumetti e si domandò dove potesse essere il giornalino. Forse ce l’aveva la mamma in sala d’aspetto, pensò. In questo modo gli tornò in mente la madre reale e potei vedere che il rapido era una madre pazza. Non ero ancora tanto sicuro di me, e quindi rinviai l’interpretazione principale.

Di nuovo cambia il registro della seduta, forse anche potremmo dire per effetto della interpretazione “stereotipata” di Winnicott sulla scena primaria, della quale si rende conto e che abbandona come un percorso inautentico. Tuttavia nonostante che Winnicott decida di non percorrere questa strada, il bambino si disorganizza ulteriormente.
Tuttavia questa disorganizzazione è anche il rappresentante della “follia” che di lì a poco fa ingresso anche verbale nella stanza. Stupefacente ed unico, credo, è il punto che ho appena letto in cui Winnicott osserva che “poté vedere che il rapido era la madre pazza”, ma che non era ancora tanto sicuro e decise quindi di rinviare l’interpretazione. Qui sono evidenti i processi interni dell’analista, soprattutto quelli preconsci e consci, certo organizzati sulla pressione inconscia interna, ma è soprattutto evidente quella distinzione fra interpreting and doing interpretations che rappresenta uno dei contributi più eccezionali di Winnicott alla teoria della tecnica. In sostanza, rinunciando o rimandando l’interpretazione, ci dice Winnicott, ancora una volta, che è al paziente che bisogna tornare per essere sufficientemente sicuri che ciò che gli si dirà sia sufficientemente preciso e pregante, soprattutto, verosimile, anche se non certamente vero. Cioè che l’interpretazione del caso deve essere data non solo quando epistemolgicamente il processo di conoscenza è quasi arrivato a toccarlo, ma che è necessario il “tempo giusto” e lo stato del sé appropriato perché il bambino, il paziente lo possa prendere, per quanto inquietante possa essere l’interpretazione dell’analista. Così prosegue:

L’angoscia apparve ancora più evidente quando disse: «Forse vado a casa presto oppure subito». Si riferiva alla paura dei rumori e ci fu un certo divertimento intorno al fatto che la sedia si muoveva come se volesse prendere a calci la mamma o cadere.
Feci riferimento alla follia che ciò rappresentava. Fu lui, oppure io a dire: «Tutto è impazzito» e ridemmo. Dissi, per quanto riguarda la testa: «Ha gli occhi ma non ha orecchie» e lui disse. Sì, ce le ha, ma è caduta e ora è sottosopra».
Ci fu un momento di mondo pazzo e una specie di suono come «uff, uff» nella sedia pazza e poi questo rumore uscì dall’altro lato della sedia. Feci un’osservazione su un luogo pazzo nella sua testa o forse nella madre e cominciai qui a convincermi che il bambino mi stava portando un’immagine di sua madre come persona malata.
Continuando sul tema della scena primaria dissi: «E allora mamma fece un gran rumore e lo chiamò Mark». Alla fine dissi chiaramente: «La mamma qualche volta impazzisce quando tu ci sei. È questo che mi stai facendo vedere».
Si stava distraendo parlando di come si deve stare attenti con le cose elettriche. Disse: «Sono nato maschio».
Dissi: «Sei nato un gran rumore!» e lui: «Non è vero!»
Ora voleva andare ma dicendo che non aveva paura, solo che voleva vedere la mamma, quindi andammo insieme a prenderla.

 

Commento

Quando vidi la madre mi resi conto che aveva un grave problema personale e quando gliene parlai ammise che spesso stava male.

In seguito la madre mi disse che era molto contenta che avessi visto, nel modo in cui il bambino si comportava, che lei a volte impazziva davanti al figlio e sapeva che questo lo disturbava. Lei ora è in cura per la sua malattia mentale.

È in questo sorprendente commento finale che Winnicott ci riassume passo passo i momenti cruciali del processo interno, dell’epistemologia del caso che hanno infine portato all’interpretazione. Cosi riassume per il lettore quanto è accaduto, o meglio come lui interpreta, decifra ciò che è accaduto, ma in questa sintesi aggiunge anche qualcosa in più: ci propone un modello coerente che sta sotto l’interpretazione che alla fine è riuscito a offrire al bambino (objects presenting). Con la metafora del piccolo treno locale che deve spostarsi sul binario morto per far passare il treno rapido, la pazzia della madre, ci offre un modello che, come direbbe Bollas, ha un significato “percettivo”. Non è chiaro se Winnicott proponga per intero al bambino questa interpretazione, ma è certo che la metafora che usa per il suo modello trasporta davvero, come dice Bollas più sopra citato, un significato da un luogo all’altro, trasformandolo. Concludo lasciando la parola a Winnicott:

In questo esempio di consultazione terapeutica è possibile vedere un bambino di sei anni che comunica un modello della personalità complesso e dinamico, non un profilo ma una rappresentazione in profondità, integrata in un continuum spazio- temporale.

Egli percepisce rapidamente le condizioni speciali all’assetto clinico e sviluppa la necessaria fiducia in me. A partire da questa premessa gioca con la pazzia personale, verificando se riesco a sopportare l’occhio «buffo» e le tre narici. Poi mostra come ha imparato ad adottare le difese estreme del niente o dell’invulnerabilità. Non è altro che un segno (mark), un segno che può facilmente passare inosservato. Il suo nome è Mark e lo usa in un modo giocoso1.

Ora la scena è pronta. Sta giocando con me e tutto va bene. Mi avverte che i treni debbono andare su un binario morto per lasciar passare il rapido. Grazie ai dettagli, del treno a vapore mi dice dell’immenso potenziale di distruzione: un incendio dall’altra parte del mondo.

Poi improvvisamente impazzisce, ma è più giusto dire che viene posseduto dalla pazzia. Non è più lui che vedo, ma una persona pazza, completamente imprevedibile. Il rapido passa veloce nella stazione mentre il treno locale sta fermo in attesa. «Niente» non viene distrutto dal «qualcosa» pazzo.

Poi la follia della madre passa e il bambino comincia a voler usare la madre come una madre che si occupa di lui e che gli serve per tornare a casa. Il bambino se ne va da casa mia felice. Ha fiducia in questa madre di cui mi ha mostrato il suo diventare pazza e che ha oggettivato e delimitato con i suoi confini. Ora Mark è diventato qualcosa invece che niente e può giocare di nuovo, anche a cose assurde che, siccome fanno parte della sua propria follia, non sono traumatiche ma comiche e ridicole.

È qui che è evidente il processo di trasformazione operato dall’approccio curativo della seduta e dalla curativa attitudine dell’analista: in quella riacquisita capacità di giocare che è possibile perché da “un niente” Mark è diventato qualcosa.

Penso di essere stato necessario nella mia qualità speciale di chi poteva vederlo, pensare a lui (cervello intelligente nella testa), entrare in contatto con lui (comunicazione mediante il gioco), riconoscere e rispettare le sue organizzazioni difensive (e la difesa estrema di essere «niente») e poi è testimone del suo essere posseduto dalla follia della madre, quando lei impazzisce davanti a lui. Aveva anche bisogno del mio contatto con la madre, da cui avrei saputo che quando non è pazza è una madre e una moglie, buona e responsabile.

Dov’ è il bambino quando non è niente?

Con questo interrogativo che non lascia senza risposta, Winnicott conclude questo affascinante caso, non mollando nemmeno per un attimo la sua presa clinica sul materiale. Così dice:

Penso che nella consultazione si sia affidato al fatto che io avessi un’immagine mentale di lui nella mia testa, che lui poteva richiamare dopo che il rapido era passato e il treno locale poteva ritornare dal binario morto.

 

 

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1 Mark in inglese significa anche

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