Federica Ermini. Dipendenze e capacità di amare oggi. Alcune prospettive di intervento terapeutico di Giorgio Foresti

“Dipendenze e capacità di amare oggi” di Giorgio Foresti

di Federica Ermini

 

 

Vorrei iniziare questa presentazione del libro di Giorgio Foresti con due frasi tratte dalla prima pagina del suo libro, che vengono sviluppate nel resto del volume:

È stato nella seconda metà del secolo scorso che è iniziata la diffusione su larga scala di alcune tra le più perni- ciose dipendenze patologiche che hanno afflitto la nostra società, prime tra tutte la tossicodipendenza e l'anoressia nervosa (…).
Lo psicologo tentava improbabili terapie e i servizi sociali cercavano di favorire il reinserimento lavorativo. Ma era una lotta impari e in genere perdente. L'eroinomane di regola ricadeva di lì a poco nell'abuso di sostanze e nel
comportamento antisociale.

Il libro di Giorgio Foresti descrive con schiettezza un iter lungo e complesso che approda alla comprensione e all'intervento nei casi di dipendenza patologica e anoressia nervosa, senza mai tra- scurare di apprendere dall'esperienza clinica. Un libro che mantiene costante l'attenzione sul con- tenimento dell'onnipotenza dello psicoterapeuta, che si propone di rimanere invece sempre aperto all'ascolto del bisogno specifico del paziente. Credo sia anche in questa ottica che Foresti ha scritto un libro denso di casi clinici tratti dalla sua estesa e intensa esperienza in questo campo, che rendono concreta e fruibile la teoria che li accompagna.
L'influenza del pensiero di Zapparoli riecheggia in tutto il libro, come un filo di Arianna che quasi sempre porta all'uscita del labirinto relazionale, che caratterizza questi pazienti particolarmen-te difficili da trattare.
Ne risulta un viaggio tra teoria e clinica coerente, conciso e accessibile a tutti, che a mio avviso soddisfa pienamente l'intento che l'autore dichiara nell'introduzione.
La dipendenza patologica è esplorata anche da un punto di vista psico-sociale, con spunti par- ticolarmente interessanti. Foresti, ad esempio, descrive la società contemporanea come un'epoca in cui il consumo supera e addirittura genera il bisogno, allontanando e facendo fin troppo sfumare il concetto di limite.
Partendo dalla teoria delle masse, dove Freud sosteneva che nei tempi di guerra dei secoli pas- sati l'odio verso un nemico comune incanalava e legittimava la nostra inevitabile pulsione aggressiva, Foresti sviluppa l'ipotesi che in questo tempo di pace relativa e di società de-regolata l'aggressi- vità si trasformi in violenza sociale diffusa.

Sostiene che il prodotto di questa società, da punto di vista psicodinamico, generi un incremento di gravi mancanze nello sviluppo della capacità di amare, ovvero un più o meno parziale falli- mento del processo di interiorizzazione delle figure di accudimento e quindi del processo di separazione.
Questo sembra portare, nel caso delle cosiddette addiction, a sostituire la relazione angosciante con la persona con la relazione con la cosa, ovvero la sostanza, il gioco d'azzardo o altro, che risultano generalmente più disponibili, prevedibili e gestibili in modo autonomo. Oppure può condurre ad un eccesso di dipendenza nei confronti delle persone, nel caso della dipendenza relazionale.
La psicoterapia psicoanalitica, individuale e di gruppo, si inserisce in queste dinamiche come fattore di cambiamento e guarigione, grazie soprattutto all'utilizzo degli strumenti del transfert e del controtransfert, concetti che sono spiegati da Foresti con chiarezza e concisione. La relazione terapeutica ha lo scopo di (cito) “ricreare quella sintonizzazione affettiva che era mancata nel rapporto primario materno. Cioè di “riparare” il sé malato che sta alla base della patologia” e “trasformare l'eccesso patologico di libido narcisistica in libido oggettuale”.

Un'altra importante indicazione che il libro fornisce sulla modalità di trattamento di questi pazienti è data dall'analisi della struttura personologica: nel caso di una struttura di tipo principalmente nevrotico-evoluto sarà indicata e probabilmente risolutiva la psicoterapia psicoanalitica, mentre nel caso di (cito) “massiccia presenza di aree di sofferenza precoce e di nuclei psicotici, si renderà necessario un trattamento integrato, una presa in carico multipla”.
In questi casi, infatti, Foresti mostra come il transfert del paziente su un solo terapeuta divenga fonte di angosce intollerabili, quindi ritiene che sia necessario diluirlo e ripartirlo su più terapeuti, come accade nella terapia di gruppo o familiare, nella presa in carico da parte di un équipe e, in alcuni casi, nel setting contenitivo di una Comunità terapeutica. Sono numerosi i casi clinici presen- tati nel libro in cui questo tipo di intervento sembra dimostrarsi particolarmente efficace.
Nel caso di dipendenza dal gioco, ad esempio, il gioco d'azzardo sembra colmare il senso di vuoto derivato da traumi infantili: la dipendenza rappresenta un'autocura alla quale questi pazienti non riescono a rinunciare, pena il soccombere a stati di profonda ansia o depressione.
Foresti spiega come sia fondamentale per la cura di questi pazienti il supporto di un gruppo e specificatamente di un gruppo di ispirazione comportamentista con una composizione particolare che descrive nel libro, che sembra rappresentare l'unica via terapeutica efficace.
Citando Zapparoli, Foresti ritiene che sia il setting psicoterapeutico che quello allargato forniscano al paziente una “residenza emotiva”, che rende possibile l'acquisizione di un'area di sicurezza e quindi di una nuova fiducia nell'altro che aiuta.
Precisa che concedere la fiducia ad una figura terapeutica è un processo particolarmente diffici- le per un paziente che ha un deficit relazionale così grave da sviluppare una dipendenza patologica, quindi ci mostra alcune soluzioni che il paziente e l'equipe possono trovare per permettere un ac- cesso alla cura.
Un terapeuta che ha ottenuto la fiducia del paziente può, ad esempio, accompagnarlo verso il resto dell'equipe con comportamenti volti a mostrare al paziente che lui stesso si fida di loro, come accompagnarlo alla prima seduta o chiamare il collega per telefono di fronte al paziente.
Talvolta accade invece che sia il paziente a decidere di dare la sua fiducia ad un cosiddetto “oggetto poco qualificato”, in quanto il medico o lo psicologo vengono percepiti come troppo potenti e spaventano il paziente.
Riguardo all'atteggiamento del terapeuta, una delle linee guida che Foresti indica soprattutto per i pazienti con struttura psicotica, e che ho trovato particolarmente utile e pregnante, è quella di rispettare il loro bisogno di proteggersi con la propria autocura. L'angoscia scaturita dal deficit af- fettivo-relazionale precoce subito da questo tipo di paziente, lo ha condotto a sviluppare bisogni specifici che gli garantiscano la sua sopravvivenza psichica, come il bisogno simbiotico. La psicote- rapia dovrà quindi poter essere aperta anche ad un eventuale compromesso tra il sintomo e la cura. Foresti mostra come i pazienti che soffrono di un grave disturbo dell'alimentazione tendono a relazionarsi con la figura di accudimento secondo il modello del “non posso stare né con te né senza di te”, rimanendo incastrati all'inizio del processo di separazione-individuazione. Il paziente spesso può esistere soltanto mantenendo il potere sul proprio corpo, ma è una decisione mortifera, in cui si realizza un'esigenza incompatibile con la vita: il bisogno di non avere bisogno.
Il paziente gravemente anoressico incontra il proprio limite e troppo spesso vi soccombe. Foresti conduce il paziente verso l'accettazione del limite, attraverso l'accettazione del limite del tera- peuta stesso. Questo al fine, anche, di evitare il delirio onnipotente a due descritto da Zapparoli con la scenetta spiritosa in cui un terapeuta immaginario comunica al proprio paziente: “Non sei Napoleone, perché lo sono io”.
Il paziente può accedere alla terapia quando gli obiettivi della cura sono meno angoscianti del proprio sintomo, seppure mortale. E' necessario ad esempio spostare i propri obiettivi terapeutici all'interno di un continuum tra simbiosi e separazione-individuazione mirando ad una più tollerabile simbiosi parziale, quando si parta da una simbiosi fusionale o ambivalente.
Giorgio Foresti, nei casi clinici descritti, si preoccupa sempre di interpretare correttamente le esigenze del paziente che ha in cura, assecondando sia il bisogno di autonomia che quello di di- pendenza, ad esempio integrando per una piccola parte i familiari nelle sedute psicoterapeutiche. Allo stesso modo concede al paziente un compromesso grazie ad una (cito) “parziale accettazione del sintomo da parte del terapeuta”, che generalmente permette una maggiore collaborazione alla terapia. Così nei pazienti psicotici l'obiettivo non sarà l'eliminazione del sintomo, ma un buon adattamento. L'ascolto del paziente e dei suoi bisogni più profondi, al di là delle aspettative del terapeuta, si applica con successo nei casi clinici presentati da Foresti anche alla tecnica terapeutica, che adegua con creatività le sue sembianze in relazione alle necessità del singolo paziente, pur mantenendo la stessa struttura di base garantita dal pensiero e dalla teoria psicoanalitica che guidano il terapeuta lungo tutto il percorso.

Cito dal libro e concludo: “Il paziente, dice Zapparoli, è il nostro insegnante: ci dice lui quello che dobbia- mo fare. Purché si sia capaci di ascoltarlo e di utilizzare tutti i mezzi, più o meno congrui, con cui lui riesce a comu- nicare”.

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